Torture in carcere, Antigone – Conferme e riduzioni di pena per i 15 agenti penitenziari nei due processi di secondo grado per il presunto pestaggio di un detenuto, durante il trasferimento in cella, nel carcere di San Gimignano (Siena) nel 2018: tortura, falso e minaccia aggravata i reati contestati a vario titolo.
La Corte d’appello di Firenze ha confermato le condanne tra 2 anni e 3 mesi e 2 anni e 8 mesi di reclusione per dieci agenti che in primo grado avevano scelto il rito abbreviato. La stessa Corte ha invece ridotto la pena ad altri cinque imputati che avevano scelto il rito ordinario: la piu severa è stata a 4 anni e 2 mesi, la più mite a 3 anni e 8 mesi di reclusione. In primo grado, il tribunale di Siena aveva inflitto ai cinque agenti condanne tra 5 anni e 10 mesi e 6 anni e mezzo.
I giudici della seconda sezione, presieduta da Alessandro Nencini, hanno inoltre sostituito la sanzione accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea della durata di cinque anni. Sono state poi revocate le sanzioni accessorie della interdizione legale e della sospensione della responsabilità genitoriale. La Corte ha confermato i risarcimenti a favore del detenuto (80mila euro), del Garante nazionale dei detenuti, assistito dall’avvocato Michele Passione e de L’altro diritto (avvocato Raffaella Tucci). I giudici hanno accolto le richieste del procuratore generale Ettore Squillace Greco. I fatti contestati risalgono all’11 ottobre 2018 quando nel corridoio largo due metri dell’istituto penitenziario del senese si verificarono attimi concitati, 4 minuti di caos ripresi dalle videocamere di sorveglianza, sfociati poi nella presunta violenza sul recluso, un tunisino detenuto per droga. Proprio il video proiettato in aula fu al centro delle indagini raccolte in un fascicolo di oltre 4500 pagine. Oggi gli imputati,con alcuni familiari, erano in aula alla lettura della sentenza. Una volta fuori, una parente ha battuto le mani in direzione dell’aula, un altro ha sussurrato: “Questa non è giustizia”.
“Una sentenza profondamente ingiusta rispetto alla quale confidiamo che la suprema corte di Cassazione potrà porre rimedio – commenta l’avvocato Federico Bagattini difensore di uno degli imputati -. Si sta discutendo di onesti lavoratori che da quattro anni sono sospesi dal servizio per un trasferimento da cella a cella di un detenuto in una situazione di degrado organizzativo, vista la mancanza di un direttore titolare e la cronica carenza di strumenti che caratterizzano l’intero sistema carcerario italiano”.
“La Corte d’appello ha confermato l’impianto accusatorio, pur riducendo le pene ad alcuni imputati – ha detto l’avvocato Michele Passione che assiste il Garante nazionale dei detenuti -. È una sentenza importante in un momento in cui vacilla in qualche parte del paese, l’idea che il reato di tortura debba essere mantenuto nella sua integralità. È importante perché è l’unico reato costituzionalmente necessario: non rendersi che esso tutela la dignità dell’uomo significa non rendersi conto che questi fenomeni accadono, sono accaduti e purtroppo continuano ad accadere e bisogna fare in modo per mantenere una diga ed evitare fughe in avanti. Sono consapevole che per gli imputati è difficile da accettare. Vedremo cosa dirà la Corte di Cassazione, perché sicuramente verrà presentato il ricorso dai difensori”.
“Si tratta della prima condanna in appello per il reato di tortura di cui con forza abbiamo chiesto l’introduzione nel codice penale, ottenuta nel 2017. In un paese democratico non deve esserci spazio per la tortura di Stato e crediamo che questa sentenza sia una vittoria innanzitutto per lo stato di diritto, le istituzioni e i cittadini”, ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.