Come ripota una nota della Regione, il servizio entra nella ‘fase 2’ della sperimentazione che prevede una organizzazione più capillare e strutturata nei territori.
Grazie a una delibera approvata dalla giunta regionale su proposta dell’assessora alle politiche sociali Serena Spinelli, e in virtù di un contributo regionale di 540.000 euro, le centrali operative passano da una a tre e raddoppiano, passando da 10 a 20 le zone-distretto della Toscana coinvolte.
Il Seus si attiva, nei casi più frequenti, in occasione di conflittualità in nuclei familiari fragili, episodi di violenza e maltrattamento di donne o di persone anziane, manifestazioni di grave malessere negli adolescenti, improvviso abbandono o stato di solitudine di persone non autosufficienti o gravemente disabili.
“A pieno regime – è il commento dell’assessora Spinelli – un servizio come il Seus permetterà a tutti i cittadini toscani di poter avere una risposta immediata in caso di situazioni gravi sotto il profilo sociale. Siamo la prima e sino a oggi unica regione in Italia che ha scelto questa strada e vogliamo percorrerla con determinazione. La delibera approvata dà una grande spinta in questa direzione perché aumenta i territori coinvolti, e struttura meglio l’organizzazione complessiva. Il Seus permette di integrare la risposta sociale con quella sanitaria, valorizza tante professionalità degli assistenti sociali a livello territoriale, anche in collaborazione con il terzo settore, e permette una continuità fondamentale tra l’evento che ha determinato l’intervento del Seus e la presa in carico dei servizi sociali”.
In questi primi tre anni di sperimentazione il pronto soccorso sociale è stato attivato 2.383 volte: i 697 interventi nel 2018 sono saliti a 951 nel 2019; nei primi undici mesi del 2020 gli interventi sono stati 735. Gran parte delle richieste di intervento (906) sono giunte dai servizi sociali, seguiti dagli ospedali (765) e da forze dell’ordine e polizia municipale (460).
Nel 2020 il Seus è stato attivato soprattutto a seguito di criticità gravi legate all’emergenza abitativa (160 casi), a violenza di genere (148), a conflittualità familiare (120). Ma vi sono stati anche interventi per situazioni di assenza di mezzi di sostentamento (31), di abbandono (43), per abusi sessuali (6) e atti di bullismo (2).