La mostra itinerante sarĂ ospite a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della giunta regionale Toscana, fino al 2 settembre
Venti mesi raccontati, con foto, documenti ma anche filmati che raccolgono ricordi e testimonianze dirette. Una mostra itinerante allestita sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica dallo Stato maggiore della Difesa e dalla Procura generale militare presso la Corte di appello, tenuta a battesimo lo scorso settembre a Roma, passata poi in Liguria e dal 29 luglio fino al prossimo 2 settembre visitabile a Palazzo Strozzi Sacrati in piazza del Duomo a Firenze, sede della presidenza della giunta regionale toscana.
Trentotto pannelli, diciassette schermi, interattivi in alcuni casi, dove si ripetono video e contributi multimediali, venti teche con documenti ed oggetti della vita quotidiana (la fondina di una pistola, un’uniforme, una bambola, una vestitino o un orologio con le lancette che fissano l’ora in cui il proprietario è morto). Un racconto concentrato in particolare sulla stragi nazifasciste che si succedettero durante la guerra di liberazione e i processi che si sono svolti, senza tacere i crimini commessi dagli italiani – prima dell’armistizio – all’estero.
Dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alla Liberazione del 25 aprile 1945 l’Italia si trovò per venti mesi divisa ed occupata: il Sud liberato da britannici e statunitensi e il Centro Nord occupato dai nazisti. Venti mesi di lotta partigiana ma anche di stragi nazifasciste sui civili, venti mesi in cui militari italiani (650 mila) dissero “no” a combattere nelle file tedesche e della Repubblica di Salò e che per questo, in dispregio alla Convenzione di Ginevra, furono imprigionati e costretti al lavoro coatto. Talvolta uccisi in modo sommario.
L’accesso è gratuito, su appuntamento, dal lunedì al sabato dalle 10 alle 12.30 e nel pomeriggio da lunedì al venerdì dalle 14 alle 16.30: basta inviare una mail a mostresacratistrozzi@regione.toscana.it o telefonare allo 055.4385616 dalle 9 alle 13.
La mostra racconta anche i crimini di guerra commessi in Italia sulla popolazione civile. Tra l’estate del 1943 e la primavera del 1945 si contano 5.872 stragi e 24.409 vittime (http://www.straginazifasciste.it/): 13 mila sono persone in alcun modo coinvolte nella lotta partigiana, uccise per vendetta o rappresaglia, ammazzate (destino comune a molti partigiani) da inermi e una volta resi inoffensive. Non solo da mani tedesche, ma anche italiane. Uccise a colpi di fucile o di mitraglia, finite con un colpo alla nuca, annegate, bruciate, cannoneggiate o fatte esplodere. Stragi spesso accompagnate da stupri e violenze.
La Toscana è stata uno dei territori maggiormente colpiti: le stragi nazifasciste, concentrate soprattutto tra l’aprile e l’agosto del 1944, furono complessivamente più di ottocento e i morti tra i civili circa 4.500: daVallelucciole nel comune di Pratovecchio Stia a Cavriglia nell’aretino, dal Padule di Fucecchio nel fiorentino a San Terenzo Monti e Vinca a Fivizzano a Massa Carrara o Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio. Luoghi diversi, identica la spirale di odio delirante.
L’urlo (e la speranza) di Sant’Anna
A Sant’Anna di Stazzema, teatro in Versilia il 12 agosto 1944 di una delle stragi più cruente che ci consumarono in Toscana (560 vittime in una sola mattina, 394 i corpi identificati), tedeschi e fascisti italiani uccisero Evelina, che quella mattina aveva le doglie del parto. Uccisero Genny, la madre che prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario (Marsili), scagliò lo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle; e lo salvò, anche se il piccolo rimase offeso dal fuoco in gran parte del suo corpicino. Uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati di risparmiare la sua gente. Uccisero più di un prete, come i dodici frati certosini uccisi meno di un mese più tardi all’interno della Certosa di Farneta a Lucca. Uccisero a Sant’Anna gli otto fratellini Tucci con la loro mamma. Poi, in quel luogo di morte e sterminio, nel 2000 è nato il Parco nazionale della pace
Aveva dieci anni Enrico Pieri, scomparso a dicembre del 2021, quel giorno in cui i soldati del sedicesimo battaglione SS comandato dal maggiore Walter Reder, guidati da fascisti versiliesi, risalirono la valle e piombarono a Sant’Anna. La sua voce rivive in alcuni filmati della mostra. Enrico riuscì a sopravvivere, unico della famiglia. “Centrotrenta giovani che con la guerra nulla centravano furono trucidati sulla piazza davanti alla chiesa” ricordava qualche anno fa ai ragazzi toscani riuniti per il Giorno della memoria, come lo faceva ogni settimana a chiunque venisse a visitare il museo del paese. Odio, violenza e devastazione. Chiudersi in se stessi o covare rancore sarebbe stata la reazione più naturale. E sette anni più tardi Pieri infatti emigrò. “Ma arrivato in Svizzera – ripeteva – capii che non si doveva e non si poteva più odiare. Mi resi conto che eravamo tutti europei: figli di un’Europa nata proprio a Sant’Anna, a Marzabotto o nei campi di concentramento. Per questo sentii il dovere di superare il rancora e parlare di pace”. E trentadue anni più tardi tornò a vivere nel suo paese, dove i testimoni di quella strage, con il passare del tempo, sono sempre meno.
I processi
La mostra sulla stragi nazifasciste ospitata a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze racconta anche la deportazione e l’internamento nei lager, la deportazione e il lavoro coatto e i processi: quelli internazionali e quelli italiani contro nazisti e collaborazionisti, quelli iniziati subito dopo la fine della guerra, quelli abortiti e congelati dalla Guerra fredda e da nuovi equilibri politici mondiali, quelli ripresi dopo il 1994, con la scoperta di centinaia di fascicoli archiviati nel 1960 dall’allora procuratore generale e chiusi in un armadio per oltre trent’anni.
Se cinquanta sono stati i processi celebrati in Italia dagli Alleati subito dopo la fine della guerra e quindici quelli istruiti in quello stesso periodo dai tribunali militari italiani, ben ventiquattro sono quelli che si aprono e svolgono dopo il ritrovamento dei 695 fascicoli chiusi nell’armadio diventato per tutti l’armadio della vergogna.
Sono cinque i processi celebrati subito dopo dopo quello a carico di Priebke per le Fosse Ardeatine a Roma negli anni Novanta. Ma i più importanti arrivano tra il 2003 e il 2008: Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, San Terenzo e Vinca, Civitella Val di Chiana, Padule di Fucecchio, Falzano di Cortona, Stia, Vallelucciole, Monchio, Cervarolo e Mommio, Certo di Ferneta, San Polo di Arezzo, San Cesario sul Panaro, Casalecchio di Reno, Grotta Maona di Montecatini, Branzolino San Tomè, Borgo Ticino, Fragheto e Verghereto e Chiusa Pesio. Oltre al massacro più sanguinoso, quello di Cefalonia nel settembre 1943: l’ordine di Hitler fu di non fare prigionieri e tra i 3400 e i 5600 soldati italiani morirono, tra caduti in combattimento, navi affondate, sentenze e fucilazioni sommarie o rappresaglie condotte su soldati disarmati o che si erano arresi. Il processo si è chiuso nel 2013, con la condanna di un caporale per l’uccisione di un centinaio di ufficiali.
Nonostante il tempo trascorso, come recita il titolo della mostra – sessant’anni dopo e in qualche caso anche settanta – almeno giustizia è stata fatta. Se non in tutti, in molti casi.
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