Prato, otto avvisi di conclusione indagini per altrettanti imprenditori e consulenti ambientali campani, toscani e cinesi, per reati che vanno dall’associazione a delinquere, all’illecito traffico organizzato di rifiuti, alla illecita gestione di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali di varia natura, in alcuni casi anche pericolosi.
Questo è l’esito di un’articolata attività investigativa condotta dai carabinieri del Noe di Firenze sotto la direzione della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano. L’indagine, rendono noto i carabinieri in un comunicato, con il supporto tecnico del personale dell’agenzia regionale per l’ambiente (Arpat) di Prato, ha consentito di svelare come il sodalizio criminale avesse allestito un redditizio traffico di ingenti quantità di rifiuti che, fittiziamente classificati come imballaggi di materiali misti, erano conferiti ad una ditta pratese dal produttore, un’azienda di Napoli, attraverso un trasportatore, sempre di Napoli.
Successivamente venivano smaltiti in impianti e discariche toscane, attestando falsamente che fossero lo scarto di un’attività di recupero rifiuti, di fatto mai effettuata.
Le indagini hanno fatto emergere come l’impianto toscano fosse il cuore del meccanismo che ha consentito al sodalizio criminale di smaltire per anni in Toscana rifiuti provenienti prevalentemente dalla Campania, ma non solo, trasgredendo alle normative di settore ed eludendo il fisco, con illeciti profitti stimati, dal 2014 al febbraio 2018, in circa 2 milioni di euro.
l modus operandi consisteva nel far apparire a livello documentale che l’attività svolta presso la ditta pratese fosse quella di sottoporre a recupero le diverse tipologie di rifiuti speciali in ingresso (imballaggi misti vari, ma anche materiali assorbenti, rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, materiali isolanti, guaine, scarti della lavorazione del cuoio e dell’industria tessile), avviando a smaltimento in discarica la frazione residuale.
I militari del Noe hanno però accertato che invece presso l’impianto non vi fosse nessuna linea di trattamento meccanico, nè macchinari idonei al processo di recupero di gran parte dei rifiuti.
I titolari dell’azienda di Prato (che erano a diverso titolo anche soci/amministratori della società di Napoli), con la complicità di consulenti ambientali, imprenditori e di alcuni dipendenti compiacenti, attestavano falsamente l’avvenuta esecuzione di operazione di recupero, ricevendo presso l’impianto ingenti quantitativi delle diverse tipologie di rifiuti, stoccandoli in ampi cumuli indistinti per poi miscelarli, onde farne perdere l’originaria identità e tracciabilità.
Le due aziende, quella napoletana e quella pratese, sono state colpite da un provvedimento della Dda che prevede anche sanzioni sulle quote societarie. Tra gli indagati figura anche un cittadino cinese, imprenditore locale, che fungeva da trait d’union con molte aziende della manifattura tessile e il pronto moda cinese operanti nell’hinterland pratese.