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Vicofaro: goliardata o razzismo?

Anche nei campi di concentramento la soluzione finale era solo l’ultimo anello della catena, l’ultimo livello del baratro. La soppressione arrivava solo dopo la ‘deumanizzazione’ dell’internato a vari e progressivi livelli, che cominciava fuori dai lager.

In questi ultimi giorni, dopo l’episodio di Moncalieri e quello di Vicofaro, l’uovo e gli spari,  assistiamo ad un serrato dibattito circa la reale dimensione e gravità di questi episodi: si tratta di razzismo o solo di  ‘goliardia’? . Dobbiamo preoccuparci, o lasciar perdere?

Il quesito non è banale,e d è bene  è bene rifletterci su.

Per parte mia,  io sono convinto  che esista un razzismo antropologico e culturale che non si esprime necessariamente in forme politiche. O ‘consapevoli’. E che, per dirla tutta, non è esclusiva dell’uomo bianco’, ma è un atteggiamento molto diffuso, soprattutto all’interno della dicotomia maggioranza/minoranze.

Tuttavia derubricare l’ultimo episodio di Vicofaro (come altri precedentemente) a livello di goliardata mi appare non solo sbagliato, ma anche molto pericoloso.

Innanzitutto non farebbe bene a chi si è reso protagonista di queste aggressioni verso persone di colore, perché la banalizzazione non farebbe certo  crescere la loro coscienza ‘illuminata’. Poi perché quei gesti, quelle espressioni (negro) e quei concetti (di merda)  da qualche parte i piccoli  goliardi  li hanno ‘raccolti’;  e io credo che, molto probabilmente, ciò sia avvenuto  in ambiente ‘familiare’  in senso lato.

Allora la teoria della ‘bravata, non regge. Casomai, se del caso,  è un bravata che poggia su un’educazione (sempre in senso lato)  razzista. E per questo va classificata come tale. Senza infingimenti ed in maniera ferma.

Anche nei campi di concentramento la soluzione finale era solo l’ultimo anello, la soppressione arrivava solo dopo la completa ‘deumanizzazione’ dell’internato a vari e progressivi livelli. Tale processo cominciava fuori dai campi, partendo dalla negazione dell’appartenenza ad una ‘razza’ eletta, e si chiudeva spesso nei forni crematori.

Non vorrei che sottovalutando questi rigurgiti razzisti (che poi ci siano sempre stati è un altro paio di maniche che non giustifica affatto), banalizzandoli, li rendessimo pratica comune e ‘normalizzata’. Il resto verrebbe da sè.

Anche il razzismo e la discriminazione nei confronti degli ebrei e dei Rom   è sempre esistita, però nella prima metà del XIX secolo portò all’abominio dei campi di sterminio. Fu perché sul sostrato culturale e sul pregiudizio diffuso si innescò il corto circuito della politica, et voilà, l’orrore divenne reale.

Ecco perché l’attenzione deve essere sempre alta.

 

DOMENICO GUARINO

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