Violenza sulle donne: “Serve una rivoluzione civile come nella lotta alla mafia”. Ad affermarlo Valeria Valente, senatrice dem presidente della Commissione parlamentare sul femminicidio che all’indomani del 25 novembre e alla luce dei dati della relazione della commissione, sottolinea la necessità di una battaglia di carattere sociale e culturale, in un Paese dove solo 1 donna su 7 denuncia colui che diventerà il suo assassino e ben il 65% delle donne vittima di violenza non ne parla con nessuno. (Intervista a cura di Chiara Brilli)
Sono 109 quelle donne morte dall’inizio dell’anno, l’8% in più rispetto all’anno scorso, 63 per mano del partner o dell’ex. Il pacchetto cui lavorano cinque ministre, e che dovrebbe arrivare sul tavolo del governo la prossima settimana, punta a interventi sul codice penale e di procedura penale per rafforzare gli strumenti di prevenzione: quindi aumento di pena per i delitti di percosse e le lesioni e procedibilità d’ufficio. E, spiega la ministra Cartabia, occorre rendere più effettive le misure per rendere più efficace l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento alla vittima, “perché troppe volte la violazione di queste prescrizioni si rivela fatale”. Quindi con il Viminale si sta studiando l’estensione dell’utilizzo del braccialetto elettronico, e nel caso di rifiuto potrebbero scattare gli arresti domiciliari. Si lavorerà, ha assicurato, sulla “formazione e specializzazione” sia dei pm che dei giudici, “chiamati a prendere difficili decisioni sulla base del rischio e della pericolosità del soggetto”. Come sollecitato anche dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente, nella sua relazione, che dopo aver passato in rassegna i fascicoli di due anni di delitti, chiede “dove sbagliamo?”. (Ascolta l’intervista)