Firenze, il 31 di agosto si รจ concluso ๐๐ป๐ฑ๐ถ๐ฎ๐ป ๐ก๐ฎ๐๐ถ๐ผ๐ป 2023, un viaggio organizzato dal Controradio Club, attraverso cinque stati del south-west degli Stati Uniti.
Il viaggio ๐๐ป๐ฑ๐ถ๐ฎ๐ป ๐ก๐ฎ๐๐ถ๐ผ๐ป, ha attraversato Nevada, Colorado, New Mexico, Utah ed Arizona, visitando parchi nazionali di incredibile bellezza come Canyonland, Arches, Mesa Verde e cittร come Durango e Santa Fe, viaggio nelle terre dei Navajos nelle quali si intrecciano storie e leggende dell’epopea del west, dalle tragedie inflitte ai nativi americani ai miti dei western hoolywoodiani. Un viaggio guidato da Gimmy Tranquillo di Controradio.
Durante Indian Nation 2023 alcuni viaggiatori hanno voluto lasciare una lro testimonianza scrivendo delle note che sono state raccolte in questo articolo, note utilissime a chi vorrร andare a visitare queste terre magari con un prossimo viaggio del Controradio club.
Note di Viaggio di Marina Capponi
Ieri prima tappa di avvicinamento alle Indians nations, le terre dei nativi americani, con CONTRORADIO ADVENTURES . Las Vegas, Nevada, sin city, la cittร del peccato, che non dorme mai. Di giorno incute francamente un poโ di tristezza, con la grandiositร trash e trasandata dei suoi enormi alberghi-casino a tema. La notte le luci la trasformano nel grande luna park per adulti delle immagini cinematografiche che tutti conosciamo. Stanza molto vintage, odore di fumo freddo e vecchia moquette, letto assai confortevole, veduta su una gigantesca sfinge con obelisco: dormiamo al Luxor, un’enorme piramide dorata arredata da geroglifici e divinitร , circondate dagli dรจi locali, le immancabili slot machines. Dopo 13 ore di volo e 9 fusi orari non siamo nello stato d’animo per apprezzare pienamente neanche il Bellagio, davvero il piรน sontuoso, con lago, giardini finti all’italiana, chilometriche limousine. E tantomeno la cena, una zuppa al pomodoro per la bellezza di 21 dollari! Dubito che sarร un viaggio rimarchevole sotto il profilo gastronomico…ed ora si parte per lo Utah, lago Powell e poi Arizona. A domani!
Secondo giorno del viaggio verso le terre dei nativi americani con CONTRORADIO ADVENTURES e Gimmy Tranquillo. Ci lasciamo alle spalle il Nevada e Las Vegas, dove vige la regola esistenziale che ciรฒ che ivi succede, lรฌ rimane ed ogni sregolatezza รจ perdonata. Il che รจ una interessante filosofia. Sulla Highway incontriamo giganteschi cartelloni pubblicitari dove avvocati fighissimi offrono le loro prestazioni con claim strepitosi come “born to win”. Sto pensando di inserire qualcosa del genere nella mia carta da lettere… oggi รจ un giorno di trasferimento, verso il parco nazionale Arches, ma cammin facendo attraversiamo piรน volte Utah ed Arizona ed i loro diversi fusi orari. I panorami sono mozzafiato, la storia della terra stratificata e raccontata attraverso formazioni rocciose a colori sovrapposti.
Terzo giorno di viaggio in Indian Nation, con CONTRORADIO ADVENTURES e la guida di Gimmy Tranquillo. Avvicinandoci al Parco nazionale di Arches ci inoltriamo nel territorio dellโUtah, nellโAmerica profonda, terra di mormoni, come denota il simbolo stradale dell’alveare, che richiama la vita operosa e solidale di questa numerosa comunitร . Ma soprattutto siamo in terra Navajo, il popolo cui questi territori appartenevano per diritto di nascita. Il gruppo etnico del Popolo della terra, come i Navajos amano essere chiamati, รจ ancora abbastanza numeroso, circa 300.000 individui, suddivisi in vari clan che vivono in gruppi familiari, spesso molto isolati gli uni dagli altri. Le abitazioni navajo si riconoscono dalla presenza allโesterno di hogan, edifici rituali che un tempo, edificati con legno e fango, con un foro nel tetto per il fumo del focolare, rappresentavano il luogo principale dove si svolgeva la vita domestica e religiosa. Oggi sono, in versione moderna, in legno ed a forma ottagonale. E fuori dalla casa navajo si accumulano tristemente rottami di auto abbandonate, residui di elargizioni statali. La tragica epopea dei nativi americani รจ a tutti nota. La cattiva coscienza e il senso di colpa per le nefandezze compiute dall’uomo bianco a danno di coloro che erano i legittimi proprietari di queste terre ha indotto l’adozione nei loro confronti di politiche assistenzialiste prima e di concessioni di sfruttamento di risorse naturali in tempi piรน recenti, che hanno reso la comunitร navajo piรน indipendente, come la centrale elettrica a carbone o la gestione del turismo del parco della Monument Valley. Ma ciรฒ non ha cancellato le ineliminabili conseguenze sociali dello sradicamento da culture e abitudini di valore identitario inestimabile. Oggi il Popolo della Terra ha ancora la sua lingua, che viene insegnata a scuola, ha artigiani e artisti che producono oggetti stupendi e costosi e non paccottiglia per turisti. I giovani studiano e lavorano, ben integrati e comunque orgogliosi delle loro origini. Ma il problema sociale dell’alcoolismo e dell’obesitร sono difficili da estirpare. E la vergogna di ciรฒ che รจ stato, nessuno la potrร mai cancellare.
Con l’amarezza nel cuore raggiungiamo le sensazionali bellezze naturali del parco Arches, che percorriamo con un tracciato da trekking abbastanza sostenuto fino al Delicate Arch, che ci ripaga con il suo grandioso splendore della pioggia battente e del vento sabbioso che ci hanno strapazzato e frustato durante la salita. Un arco cosรฌ bello, fra i circa 2000 ancora esistenti, da essere assunto come l’immagine simbolo delle targhe automobilistiche dello Stato dell’Utah.
Quarto giorno davvero on the road in Indian Nation, con CONTRORADIO ADVENTURES e la guida di Gimmy Tranquillo. Il nostro autista Louis ci conduce sereni, macinando miglia e miglia con serafica ed orientale sicurezza.
Destinazione: i parchi nazionali tra i piรน belli: Canyonland, con Island in the Sky, davvero un luogo magico per l’altitudine del suo plateau e la vertigine di affacciarsi, da piรน di 2000 metri, sugli incredibili meandri ritorti del verde Colorado ed i suoi canyons labirintici. Sole caldissimo da alta montagna, vegetazione particolare adattata ai venti ed alle temperature estreme del luogo: una specie di pino basso e contorto con il doppio ago, il Utah juniperus, una qualitร di ginepro con le coccole dure e azzurre, con le quali i nativi realizzano monili per scacciare gli spiriti maligni, dei mini-cactus e delle mini-yucche, creature del deserto nanizzate e adattate ad un clima di alta montagna. E poi ecco la star del luogo: il Mesa Arch, che la mattina presto รจ rosso fiammeggiante e si affaccia su una balconata sensazionale di canyons e candelabri di roccia. E poi il Dead horse Point, con le sue suggestioni cinematografiche di Thelma e Louise. Ed andiamo via di corsa, ancora on the road, entrando nel Colorado, ed arrampicandosi sulle mitiche Montagne Rocciose, con un cambio di paesaggio davvero straniante, fra boschi di conifere altissime, betulle argentate e stazioni sciistiche. Ed una pioggia battente che non ci abbandona mai, mentre valichiamo il Code Bank Pass, ad oltre 3000 metri di quota. E poi giรน nella valle raggiungiamo la nostra destinazione: Silverstone, la antica cittadina delle miniere d’argento dove, stanchi ed infreddoliti ma rapiti dalla magia Old West dell’atmosfera, mangiamo Filet Mignon e salmone in un vero saloon!!
Quinto giorno di viaggio in Indian Nation, con CONTRORADIO ADVENTURES, nella deliziosa cittadina di Silverton, Colorado. Il piccolo centro minerario, dopo la chiusura dell’ultimo impianto estrattivo (di argento, oro, rame ed altri minerali) negli anni 90 ed un periodo di abbandono, si รจ riconvertito in un centro turistico molto apprezzato per chi cerca il fascino della frontiera, in aree dedicate alle attivitร sportive nella natura. Il paese ricostruisce, con un mix molto ben riuscito di autenticitร e di finzione, l’atmosfera del vecchio West. Molto bello il museo locale, che racchiude la memoria storica della dura vita dei minatori e conserva ancora la minuscola prigione.
Il Gran Imperial Hotel รจ particolarmente fascinoso, cosรฌ come l’attiguo ristorante, con un autentico saloon ed il pianista che allieta il pranzo a ritmo di ragtime.
Il pezzo forte della giornata รจ rappresentato dallo spostamento da Silverton a Durango con la vecchia locomotiva a vapore, che era a servizio della miniera e non ha mai smesso di funzionare, diventando cosรฌ la principale attrazione turistica locale.
Sesto giorno nelle terre dei nativi, le Indian Nation con @CONTRORADIO ADVENTURES.
Nel magnifico ed immenso parco nazionale di Mesa Verde, incontriamo le affascinanti vestigia della civiltร dei Pueblo Ancestrali, che annidano i loro insediamenti di adobe nelle cavitร dei canyons al di sotto della Mesa. Coltivatori ed allevatori, a differenza dei cacciatori raccoglitori Navajos, ci hanno lasciato le vestigia di una civiltร che intorno all’anno 1000, non utilizzava metalli bensรฌ utensili di osso, ossidiana, pietra. Vasellame bellissimo con la tecnica del cordonato, senza l’uso del tornio. Le donne erano depositare della tecnica della tessitura e la societร era matrilineare. Molto interessanti le interazioni fra i Navajos, il Popolo della Terra ed i Pueblo attraverso i matrimoni, che l’antropologa Ruth Underhill ci racconta in maniera intrigante. E poi dopo 6 ore di pullman andiamo verso Taos, nel New Mexico, la cittร di Kit Carson.
Settima intensa giornata di viaggio in Indian Nation, con CONTRORADIO ADVENTURES .
A Taos, elegante cittadina del New Mexico, la figura di Kit Carson รจ un eroe nazionale, gli hanno dedicato una strada e la sua ultima abitazione รจ stata trasformata in museo. ร in realtร un figura molto controversa, che va sfrondata dall’aura leggendaria e romantica dei fumetti di Bonelli. Dal punto di vista dei nativi e della moderna storiografia, rappresenta colui che abilmente riuscรฌ a costringere i Navajos ad un accordo molto penalizzante per loro, riducendoli letteralmente alla fame ed alla sete, abbattendo le loro coltivazioni di pesche, sterminandone le greggi ed intercettando le sorgenti. Aveva sposato una giovane Arapaho, poi una Cheyenne, infine Josefa, una giovane di buona famiglia di Taos, che gli diede molti figli, fino a morire di parto.
Lasciamo Taos ed i suoi quartieri Pueblo ancora abitati, intatti, nelle stesse condizioni del passato, senza elettricitร e acqua corrente, ma che non possiamo visitare perchรฉ impegnati in celebrazioni rituali interdette ai turisti e raggiungiamo Santa Fe, la capitale culturale ed artistica del New Mexico, vero paradiso per gli artisti emergenti, che reinterpretano il crocevia di culture, quella dei nativi, quella messicana e nordamericana con esiti davvero interessanti.
Ottavo giorno del viaggio in Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. Prima di lasciare il New Mexico per tornare in Arizona, ci fermiamo ad Albuquerque, ammirando nella Old Town Plaza la settecentesca chiesa di S. Filippo Neri e le sue due torri in stile coloniale. Ma il momento piรน emozionante รจ la visita del sito abitato dagli Acoma Pueblo, la Sky City, un insediamento arroccato su una ripidissima e spettacolare Mesa in mezzo al deserto, una cittadella quasi inaccessibile che galleggia nel cielo terso. Gli Acoma Pueblo sono una popolazione molto resiliente, che tutt’ora abita i Pueblo costruiti in adobe e ne ha una cura ammirevole, nonostante le difficoltร , prima fra tutte la mancanza d’acqua, che viene ancora raccolta dopo le rare piogge in cavitร della roccia, purtroppo inquinate da un’alga dispettosa. Si tratta di uno degli insediamenti piรน antichi del Nord America, la cui storia, tramandata oralmente, nella quale si mescolano inestricabilmente cronaca e leggenda, ha avuto momenti tragici alla fine del 1500, quando i Conquistadores spagnoli, nella spasmodica ricerca dell’Eldorado, hanno commesso ignobili efferatezze nei confronti dei pacifici Pueblos, uccidendo, mutilando e deportando la popolazione, uomini donne e bambini. Ed i missionari non sono stati da meno in quanto a sadismo, costringendo gli acomani a trasportare enormi tronchi per le travi del tetto della chiesa dedicata a S Esteban del Rey, dalle lontane montagne, senza che il legname potesse mai toccare terra. Gli Acoma Pueblo oggi gestiscono il sito ed il museo, preservando con cura ed orgoglio la loro storia e la loro antica cultura. E amministrano anche il redditizio Casinรฒ di Sky City, in deroga alle restrittive disposizioni statali che vietano le case da gioco.
Nona giornata nelle Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. Siamo nuovamente avvolti dai colori contrastanti dell’Arizona, nel cuore del territorio Navajo, con la capitale, Window Rock, che prende il nome da una spettacolare apertura circolare nella montagna, un tempo teatro di cerimonie per la presenza di una sorgente, ora inaridita, che ospita le istituzioni di governo della comunitร . Un intrico di Canyon, fra i piรน belli visti finora. Il labirintico Canyon de Chelly (che in lingua navajo si pronuncia shein), il Canyon del Muerto, le torri gemelle di Spider Rock, dove secondo la leggenda vive la Spider Woman, la donna-ragno, uno dei miti fondativo della cultura dei Dinรจ, che insegnรฒ loro la tessitura. Una figura mitologica benevola, ma anche severa e crudele, perchรฉ rapisce i bimbi cattivi portandoli in cima al suo rifugio inaccessibile, dove per i Navajo tutt’ora biancheggiano i loro ossicini…
Decima giornata nella Indian Country, con CONTRORADIO ADVENTURES. Siamo sempre nella Navajo Reservation, in Arizona, e ci concediamo una sosta piacevole presso l’antico emporio Hubbell Trading Post, un sito storico creato dal commerciante illuminato john Lorenzo Hubbel nel 1872, che i nativi chiamavano Naakai Sani. Il giovane Lorenzo aveva imparato l’idioma navajo ed aveva saputo intrattenere rapporti amichevoli e reciprocamente rispettosi con i nativi, reduci dalle tragedie della Lunga Marcia. Oggi l’emporio รจ gestito dalla comunitร (i prodotti sono buonissimi e molto particolari) e arricchito da un interessante museo. Si prosegue verso un altro sito di enorme interesse naturalistico: la foresta pietrificata, il piรน grande deposito di alberi fossili al mondo. Lo skyline รจ sensazionale, un paesaggio lunare, dove si alternano le badlands multicolori, con basalto nero (residuo di un antico vulcano) arenaria rossa, argilla azzurra e limo bianco, sulle quali รจ adagiata una foresta preistorica di enormi conifere, il cui legno si รจ trasformato in quarzo traslucido, che conserva ancora le forme ed i colori del Triassico. Proseguiamo verso il Meteor Crater, provocato 50.000 anni fa dall’impatto di un meteorite ferroso sul suolo dell’odierna Arizona del nord, creando un cratere perfetto, largo 1600 metri e profondo 150, molto interessante per lo studio di questi devastanti fenomeni, il cui rischio incombe sempre sul nostro fragile pianeta. La giornata termina a Flagstaff, una amena cittadina sulla mitica Route 66. Ah, dimenticavo una sosta a Winslow, resa famosa da una canzone degli Eagles (Take it easy) e da uno “Standin’ on the Corner Park” dove farsi fotografare accanto alla statua del musicista autistoppista. Ah, questi americani…
Undicesima giornata del bellissimo viaggio in Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. Percorriamo la storica Route 66, la piรน letteraria e cinematografica delle strade americane, aperta nel 1926, che originariamente collegava Chicago a Los Angeles snodandosi per oltre 3.700 km. Oggi la originaria, fascinosa strada sopravvive solo nelle pagine di Furore di Steinbeck e, meno nobilmente, nei cartoni animati di Cars, poichรฉ buona parte del percorso รจ stato sostituito ed in alcuni tratti sovrapposto dalla molto meno pittoresca Interstate 40. Alcuni paesi nati lungo il suo tracciato sono rimasti tagliati fuori dal principale traffico commerciale, diventando luoghi della memoria e sopravvivendo solo grazie al turismo nostalgico a caccia di suggestioni di un passato tutto sommato recente per le nostre abitudini. Come noi del resto, che ci fermiamo a Seligman e saccheggiamo a mani basse il Barber shop del mitico ed intraprendente Angel Delgadillo, oggi ultranovantenne, che per anni con la moglie Wilma ha gestito l’elegante salone di barbiere, uno dei primi insediamento commerciali lungo la Historical Route, oggi mandato avanti con affettuosa cura dalle simpatiche figlie. Sarร , ma il mito di questa America di negozietti pieni di souvenir tutti eguali e di bar malinconici e semideserti alla Hopper non mi prende, mi sembra triste e fasulla, come il cartonato di Angel ed il pupazzo di Elvis, in compagnia dei quali ci sembra doveroso farci fotografare.
Dodicesimo ed ultimo giorno di permanenza in Usa nel viaggio Indian Nation con CONTRORADIO ADVENTURES. La vacanza volge al termine, dove tutto รจ cominciato, Las Vegas, che da luogo verde e ameno (il nome in spagnolo, pensate un po,’ significa i prati) รจ diventato sinonimo di “divertimentificio”, un gigantesco luna park per adulti rimasti eterni bambinoni, con tanti denari da spendere. Tutto รจ gigantesco e caricaturale, dai gondolieri che navigano a motore su un finto Grand Canal cantando le arie del Padrino del Venetian, al mini-lago di Como del Bellagio con le sue fontane danzanti, alla minitour Eiffel del Paris. Ed ovunque tavoli da gioco e slot machines, in un frastuono assordante e luci ipnotiche, come quelle della nuova attrazione, la Sphere, ed i suoi milioni di led danzanti, pilotati da un sofisticato sistema computerizzato. Il tour notturno ci rende un’immagine piรน brillante di Sin City rispetto all’arrivo, di giorno, quando la cittร del peccato ci e’ apparsa sonnolenta e sdrucita, come una giostra abbandonata. Ma sempre triste ed assurda, in un vortice di ambienti al chiuso, curatissimi in ogni particolare, ma irrimediabilmente fasulli, come il finto cielo azzurro del Venetian, sempre illuminato da un sole artificiale, come in The Truman Show. Piรน simpatica ed allegramente ruspante รจ la Las Vegas di Down Town, che visitiamo la mattina, una specie di Galleria milanese in versione americana, con cosplayer, diavolette sexy e negozietti di souvenir. E tanti homeless, che ci fanno pensare alle lancinanti contraddizioni di una societร dove si spreca una quantitร smodata di energia per luci, aria condizionata a palla e di cibo, in tutti i “mangifici” dove a colazione puoi consumare ciรฒ che vuoi, dalle cozze al cappuccino, mentre unโumanitร marginale sopravvive invisibile, con tutti i propri averi indosso, in un caldo opprimente che supera i 40 gradi. Un’ultima visita di “civilization” prima di lasciare il Grande Paese ed imbarcarci sul volo Edelweiss per Zurigo : la Hoover Dam, diga sul Colorado che crea il lago Mead, il primo bacino artificiale degli Usa, costituito negli anni 30, per produrre energia elettrica e rifornire di acqua Arizona e Nevada. Dopo un filmino antiquato e celebrativo, visitiamo le gallerie e le gigantesche turbine, sormontate da un bandierone star & stripes in eguale proporzione. Anche qui, come nel lago Powell, si avverte evidente l’impatto impressionante di queste opere sull’ambiente e le conseguenze del cambiamento climatico: il lago si รจ abbassato di almeno una ventina di metri, lasciando lontani dalla riva alberghi e ville, nonostante il sacrificio in termini di portata idrica cui viene sottoposto il povero Colorado, il quale non ha piรน un estuario, perchรฉ prima di gettarsi nel golfo della California come in origine si perde nelle sabbie e finisce nel nulla. Con buona pace delle specie vegetali e animali particolarissime che vivevano in quell’ ambiente acquatico, come il minuscolo Elf Owl, il gufo elfo ed altri delicati animaletti, ovviamente oggi molto ma molto protetti perchรฉ in estinzioneโฆ che paese pieno di contraddizioni, che non ha nemmeno firmato l’accordo internazionale Onu sul climate change di New York…
Note di viaggio di Paolo Marini
In partenza. L’app accuWeather รจ irremovibile: a Las Vegas รจ prevista pioggia. E nemmeno poca. Anzi, sempre secondo la diabolica app, in questo momento sta giร piovendo! Con le temperature precipitate giรน di dieci gradi. Sono senza parole. Non riesco neppure ad allibire. In realtร รจ da un po’ di ore che c’era il timore. Sono due giorni che sto consultando compulsivamente svariati bollettini meteo mentre la chat di viaggio trilla in continuazione sull’argomento. Tutti concordano, maledizione! Per tale motivo, ieri il bagaglio รจ stato sottoposto a severa revisione con l’ingresso di un leggiadro ombrellino pieghevole arancione. Il cappello impermeabile, quello no. ร una questione di dignitร . Al massimo una giacca leggera.
E mica pioverร in eterno. E che deserto รจ sennรฒ? Intanto, perรฒ, l’edizione online del Los Angeles Time annuncia trionfante l’imminente approdo sulle coste californiane dell’uragano Hillary. Questo spiega le piogge nei territori limitrofi.
Ma la California, penso, non รจ nella fascia degli uragani. Leggo infatti che si tratterebbe di un fenomeno eccezionale. Ma come, proprio ora che sto arrivando? Ed ecco quindi che, piano piano, lemme lemme, il fantozziano dubbio della nuvola dell’impiegato si insinua subdolo, ma non riesce a scalfire l’emozione della partenza. Nemmeno ci riesce l’esasperante lentezza dell’addetta al check in di Peretola che mi tempesta di domande (indirizzo in USA, telefonoโฆ). Piรน dura รจ al bar dove, dopo una lunga coda, mi tocca uno dei peggiori cappuccini della mia vita, il cui unico pregio รจ evidentemente quello di contenere almeno due etti di caffeina, il che mi sveglia come un grillo malgrado i novanta minuti scarsi di sonno. Il viaggio sarร lungo e per dormire ci sarร tempo.
Frattanto si sale sull’aereoplanino-giocattolo che sta per decollare dall’aereoporto-giocattolo di Firenze. Sta per iniziare il trip da viaggio!
Tiro fuori a mo’ di amuleto, un libro. Un giallo di Tony Hillerman, avventure di un poliziotto di sangue navajo in servizio nelle terre dei nativi nel sud-ovest degli Stati Uniti. Terre desertiche appunto. Mica piovose, accidenti!
Ripenso a quelle previsioni meteo e all’ultimo sguardo dato on line con l’immagine dei californiani che si preparano a ricevere Hillary, apro il libro e proseguo la lettura… il polverone scomparve quando il veicolo scese in uno dei labirinti di Arroyo che trasformavano la vallata in un caotico quilt di erosioneโฆ e penso che anche se pioverร , il deserto si asciugherร subito e tornerร a mostrare il suo arcigno e affascinante aspetto di sempre. Quindi Hillary rassegnati, a me non fai paura. Ma passa presto.
A Las Vegas by Edelweiss. L’aeroporto di Zurigo รจ molto grande, affollato, ma ben suddiviso e organizzato. Un luogo razionale, molto svizzero nel suo nitore architettonico. Costellato di spazi commerciali in cui si alternano cioccolaterie elvetiche, Swatch, orologeria di lusso e la solita galassia noiosa di Brand internazionali della moda, รจ a suo modo un luogo ingannevole. Lo รจ poichรฉ frequentato in maggioranza da europei. Percorrendo i suoi lunghi corridoi bordati da bar, birrerie, ristoranti, paninerie tutte uguali e tutte piuttosto care, si ha l’impressione che quella folla di “bianchi” sia ancora una cospicua quota degli abitanti di questo pianeta e non una sempre piรน piccola seppur privilegiata, minoranza, all’interno della quale io e i miei compagni di viaggio ci imbarchiamo su un Airbus 340-400 rosso e bianco, accolti da gentili hostess in divisa rossa e bianca. La compagnia si chiama Edelweiss ed รจ quindi la quintessenza della svizzeraggine. Perรฒ tale prerogativa si ferma qui. Appena posizionati per partire, il comandante comunica che c’รจ un problema col software di navigazione. Ci sarร da aspettare. Quanto non si sa. Restiamo seduti. Il problema รจ che siamo senza aria condizionata e fa un caldo terribile. Come se non bastasse l’aereo torna al gate. Deve svuotare il serbatoio e poi riempirlo nuovamente. Operazione che compie brillantemente. Ce ne accorgiamo perchรฉ torna l’aria condizionata. La relazione fra le due cose resta misteriosa. Finalmente si parte, ma con piรน di novanta minuti di ritardo. Il viaggio durerร oltre 12 ore, passando sopra il sud della Groenlandia, la baia di Hudson, il Manitoba e le montagne rocciose.
Nel frattempo, le hostess biancorossovestite stanno allestendo il lunch. Cosa che mi mette sempre allegria. Malgrado la qualitร del cibo in genere pessima. Mi rammento i terrificanti pasti della PanAm sulla rotta per l’Oriente, top di gamma dei miei ricordi, seguito da Indian Air Linesโฆebbene devo riconoscere che Edelweiss in questa particolare graduatoria si piazza molto bene. Innanzi tutto, perchรฉ vino e birra sono a pagamento! Scelgo un piatto a base di pollo crudelmente annegato in un’insipida salsa multicolore. Accompagnano la povera bestia patate e carote mummificate e un’insalata di striscioline di lattuga e cavolo rosso cui va aggiunto il contenuto di una busta di french dressing, di certo reperito in qualche spaccio di lubrificanti, ignobile, ma perfettamente in grado di macchiarmi la camicia. Un caffรจ di qualitร consona al menรน completa il pranzo.
Eppure, l’umore รจ ottimo. In fondo mangiare in aereo significa che sta andando lร dove si vuole. E infatti, a forza di andare, a Las Vegas finalmente ci arriviamo. Sono le tre del pomeriggio, mezzanotte in Italia. La stanchezza si fa sentire. Fortunatamente il clima รจ mite, 25ยฐ. La coda di Hillary ha abbattuto il caldo feroce, portando pioggia le cui tracce sottoforma di ampie chiazze, giacciono sparse dappertutto. Il cielo รจ grigio di nubi dense che promettono poco di buono. Il torpedone diretto all’albergo avanza pigro su grandi strade che si intersecano fra loro ad angolo retto. Una periferia di case basse si stende anonima prima del centro. Le vie sono bordate di palme, pini dell’Arizona, alberi di pepe rosa, tamerici e strane piante che paiono un incrocio fra un albero e un cactus. Qualche raro prato fa eroica mostra di sรฉ. La cittร , per antonomasia nottambula, di giorno mostra il suo volto smorto e sonnacchioso. Pare un’attrice ancora struccata, assopita e colta alla sprovvista nel lungo backstage che prelude allo spettacolo che inizierร a buio. I grandi e sconcertanti edifici e attrazioni riposano sotto il cielo senza sole.
Un assaggio di quel che sarร lo si ha arrivando al Luxor hotel dove passeremo la notte. ร una piramide con gradoni interni che in realtร sono terrazze su cui si aprono le camere. Non ci sono finestre nรฉ orologi nel segno di una strategia precisa che tende a straniare l’avventore, inducendolo a indugiare nel labirinto del gioco. Milioni di led illuminano sterminate distese di slot machine a loro volta piene di luci, immagini elettroniche e cento suoni differenti. Ecco perchรฉ in queste sale รจ sempre notte. C’รจ giร parecchia gente seduta a giocare. Visi amimici di ogni etร e mani che meccanicamente tentano la sorte, sovente coppie, uno gioca uno guarda. Immancabile un bicchiere mezzo pieno accanto, gentilmente offerto dall’ hotel che ha tutto l’interesse a farti spendere e tenerti inchiodato lรฌ.
Fuori invece, il giorno spara le sue ultime cartucce. Come resistere a non fare un giro della Strip a guardare, man mano che arriva la notte, il progressivo accendersi dei folli palazzi che la costeggiano? Peccato che mentre si va spunti un improvviso e surreale acquazzone a guastare i piani. Intanto si รจ fatto buio. Il traffico รจ sempre vivace e i palazzi sciorinano i loro abiti luminosi migliori mentre si rientra in monorotaia. Il jetlag adesso morde le caviglie. ร ora di smettere. Ma alla fine del viaggio torneremo nella cittร del peccato. See you later Sin city.
Going to Utah. La hall del Luxor hotel รจ gigantesca. La incornicia da un lato la lunga fila di banconi scuri delle receptions alle cui spalle enormi schermi led trasmettono spezzoni di musica, balletti e spettacoli. Il grande spazio vuoto centrale, sempre molto affollato, termina con una scala che sale ai ristoranti mentre da un lato prosegue, espandendosi nella sala da gioco. Nella hall non c’รจ neppure una sedia, chi vuol sedere deve farlo ai tavoli delle slot. Tavoli che alle 8 di mattina sono giร frequentati. Ad uno di essi siede un cinquantenne dal fisico pesante. Porta una camicia a fiori che trattiene a stento la pancia. Ha i pantaloni corti e le scarpe di tela. Degli occhi non distinguo il colore, ma ne percepisco la precoce stanchezza, certo non attenuata dal caffรจ contenuto in un bicchierone che tiene in una mano mentre l’altra aziona la slot. Salgo su al Pyramid restaurant, dove l’odore del bacon dร un tocco di normalitร a un luogo surreale. Colazione americana e si parte!
Las Vegas ancora non si รจ ripresa dalla sua ennesima notte brava. Poche macchine a giro. La sfinge del Luxor ci guarda perplessa mentre il bus abbandona lo Strip per percorrere un’immensa periferia fatta non solo di case basse, ma anche di condomini, molti in costruzione, vista la notevole espansione della popolazione verificatasi negli ultimi anni. La monotonia del paesaggio รจ interrotta da qualche hotel-casinรฒ periferico e dalla mole nero lucido di un grande stadio la cui parete รจ in realtร un gigantesco schermo su cui scorrono informazioni sulle partite e messaggi pubblicitari. Piano piano la periferia evapora cedendo il posto a un grande pianoro costeggiato da brulle colline. Qua รจ lร compaion le colonnine variopinte delle gas station. Spesso accanto sorge un casinรฒ.
Imbocchiamo l’highway 15. Nel cielo nuvoloso compare una coppia di caccia neri. Minacciosi, volano a breve distanza l’uno dall’altro. Paiono in atterraggio. Forse in qualcuna delle basi segrete del Nevada.
Nel frattempo, la strada si fa ondulata, scarsa la vegetazione punteggiata di Joshua Trees, un cactus tipico della zona. Cresce l’attesa per i paesaggi che verranno, ma prima compaiono villaggi nel deserto composti da linde casette e dall’immancabile campo da golf. Il verde del prato stride con l’ambiente arido circostante e fa riflettere su una gestione dell’acqua quanto meno discutibile. Certo poi se uno pensa a Las Vegasโฆ
Le splendide gole del Virgin river mettono fine a ogni elucubrazione. Ce le godiamo avvicinandoci al confine con l’Arizona. Lo si capisce da un casinรฒ isolato, nato lรฌ perchรฉ in quello stato il gioco d’azzardo รจ proibito. Quello in Arizona รจ soltanto un breve passaggio. Il pullman punta l’Utah, meta del giorno. E lo fa attraverso quegli spazi vuoti il cui fascino indescrivile mette letteralmente i brividi.
Confine Utah! La nazione mormona ci accoglie con l’ennesima gas station. Un cartello stradale porta un numero all’interno di un segno misterioso. ร un’arnia, simbolo dei mormoni che considerano sรฉ stessi come api operose (e un tempo poligame).
Distese infinite di salvia selvatica verde-grigia si estendono adesso a perdita d’occhio. Spuntano alberi e villaggi recintati per difendersi dagli animali del deserto (coyotes e quant’altro). Il tempo peggiora rapidamente, ma chi se ne frega: sembra di essere in un film western, che prosegue al Coral Pine Dune Sands National Park, ondulata distesa di sabbia rossa piazzata in mezzo a colline boscose. Si scende a vedere. Una duna sottile si staglia in mezzo a una piccola valle. Casca una pioggia sottile che conferisce alla sabbia una sfumatura piรน scura su cui risaltano le nostre impronte che scoprono strati asciutti quasi rosa. In cima alla ripida duna, faticoso arrivarci. Da lรฌ non resisto alla tentazione di scendere di corsa e mi butto giรน nella pioggia. Appena arrivato giรน, un rombo di motori squote l’aria. Quattro potentissime DuneCars nere irrompono improvvise e velocissime a scorrazzare per le dune. Ognuno si diverte come puรฒ. E come sa!
a multicolore a loro volta sollevati, curvati a formare ondulazioni scanalate dagli effetti sorprendenti. Sono come un millefoglie gigante cui una mano ciclopica avesse imposto una rotazione degli strati che appaiono squadernati, ma non sovvertiti, tempestosi, ma non agitati.
Arrivare a Kanab invece รจ come approdare in un porto tranquillo in mezzo a queste bufere pietrificate. Qui, nei primi anni del ‘900 furono girati tanti e importanti film con intere troupes cinematografiche che stazionavano per mesi, tanto che le รจ rimasto appiccicato il soprannome di piccola Hollywood. Lungo la strada principale, piccoli cippi di metallo recano su foto e didascalie di attori e produttori che resero famoso per una breve stagione il paese, che per fortuna non ha dismesso tutti i ristoranti, vista la fame con cui ci siamo arrivati. Era tardi, ma un ristorante era aperto. Ci hanno accolto con quello che pare il marchio di fabbrica della gente di qui: il sorriso. E si รจ mangiato pure bene. E quindi abbiamo sorriso tutti. Pensando alle prossime avventure.
Sorrisi a Kanab. Utah, Page, Hotel Courtyard, breakfast room. Mattina del 22 agosto ore 7:45. In sala non c’รจ molta gente anche se sta arrivando l’avanguardia di una nutrita comitiva cinese sbarcata la sera prima. Fra i tavoli si muovono giovani camerieri e cameriere, gentilissimi. Hanno capelli corvini, bei visi un po’ orientali dai tratti marcati, tipici dei nativi. Infatti, sono tutti Navajos o Dinรฉ, come si definiscono nella loro complicatissima lingua non scritta. Malgrado siano vestiti di nero che notoriamente sfina, colpisce la notevole obesitร di tutti, frutto avvelenato di un mix micidiale fatto di genetica, abitudini alimentari sbagliate, sovente alcolismo e attivitร fisica prossima allo zero. Col risultato di essere ai primissimi posti per esigenze sociosanitarie quali diabete, cardiopatie ecc. Loro non sembrano curarsene e nel frattempo dispensano sorrisi mentre gustiamo un’ottima colazione in questo bell’albergo in stile ibrido, ispirato alle costruzioni locali in adobe. Ci siamo arrivati ieri sera dopo una lunga giornata terminata con le immagini del Lake Powell con la straordinaria diga del Glen Canyon, le cui pareti hanno, a detta di chi ci รจ stato, la stessa tonalitร rosso intenso del Grand Canyon. La strada per arrivare lรฌ parte dalla piccola localitร di Kanab. ร un tratto caratterizzato da rocce multicolori imponenti, fatte a striature orizzontali che vanno dall’ocra al rosso, rese lucide dalla pioggia che oggi non intende proprio abbandonarci. Il paesaggio รจ veramente grandioso e descriverlo o anche fotografarlo non rende minimamente l’idea della bellezza di questi luoghi. Il prodigio geologico di queste terre meriterebbe ben altre penna e competenza. Prima di Kanab, ad esempio, si incontrano quelle che qui chiamano “Frosted Rocks” che si puรฒ tradurre con rocce glassate. Sottili strati di roccia multicolore a loro volta sollevati, curvati a formare ondulazioni scanalate dagli effetti sorprendenti. Sono come un millefoglie gigante cui una mano ciclopica avesse imposto una rotazione degli strati che appaiono squadernati, ma non sovvertiti, tempestosi, ma non agitati.
Arrivare a Kanab invece รจ come approdare in un porto tranquillo in mezzo a queste bufere pietrificate. Qui, nei primi anni del ‘900 furono girati tanti e importanti film con intere troupes cinematografiche che stazionavano per mesi, tanto che le รจ rimasto appiccicato il soprannome di piccola Hollywood. Lungo la strada principale, piccoli cippi di metallo recano su foto e didascalie di attori e produttori che resero famoso per una breve stagione il paese, che per fortuna non ha dismesso tutti i ristoranti, vista la fame con cui ci siamo arrivati. Era tardi, ma un ristorante era aperto. Ci hanno accolto con quello che pare il marchio di fabbrica della gente di qui: il sorriso. E si รจ mangiato pure bene. E quindi abbiamo sorriso tutti. Pensando alle prossime avventure.
Verso Moab. Il pullman viaggia spedito. Siamo in territorio Navajo, la cui presenza รจ rivelata da modeste isolate costruzioni ottagonali in legno, eredi degli Hogan, le antiche “case” oggi usate solo come luoghi di culto. Immancabile il pickup a fianco, spesso piรน d’uno oltre a qualche vecchia carcassa di automobile.
Non c’รจ molto traffico: transitano gigantesche roulottes agganciate a un furgone o campers spaziali. ร frequente vederli condotti da coppie di anziani che, venduti tutti i loro beni immobili, vanno girando tutti gli states, fintantochรฉ i soldi e la salute glielo consentono. Poi dopo, chissร : magari spiaggiano la roulotte da qualche parte e lรฌ si fermano. Fino alla fine. In una parabola struggente in difficile equilibrio tra un estremo anelito di libertร e un tramonto malinconico e solitario. Forse una delle chiavi di lettura di questa complessa e affascinante nazione.
Nel frattempo, la strada reclama la scena. Iniziano a comparire le Balanced Stones, pietroni in equilibrio su pinnacoli. Questi ultimi spesso multicolori e di incredibile bellezza. Poi, quasi di colpo una mesa, una lunga montagna piatta, compare alla mia sinistra. ร il momento delle Black Mountain dove una miniera di carbone, data in gestione ai Navajo, butta i suoi sassi lucenti su di un treno destinato a una centrale termica. Proprio qui, in mezzo ai parchi!? Contraddizioni americane! Sosta tecnica per approvvigionamenti in un supermarket Dinรจ (Navajo)! Mi ci butto a capofitto. Quale occasione migliore per osservare aspetti della gente di qui altrimenti invedibili? All’interno musica di sottofondo bellissima che viene voglia di ballare piuttosto di fare la spesa. Grandi spazi per il Mexican food, filari di snacks, soft drinks e una vetrina di dolci che paiono fatti col neon. L’inferno alimentare!
Si riparte e subito compaiono pinnacoli di roccia a indicare che il bivio per Monument Valley รจ vicino. Passiamo un paese dal buffo nome, Bluff. ร molto bello. Due sottili torri rocciose, Twin Rocks, gli fanno la guardia. Magnifiche. Alla successiva sosta tecnica al Seven Eleven faccio il pieno di splendidi sorrisi da parte della cassiera, ma anche di comuni avventori. Gentilezza made in Utah.
Ora la strada sale. E con essa sale l’altezza degli alberi. Tanti pini. Inizia un altopiano dove avvisto per la prima volta campi lavorati. Fanno da preambolo al villaggio di Monticello (si chiama cosรฌ!). Poche traverse, case in legno di cui molte modeste e spesso male in arnese. Il solito pickup parcheggiato accanto. Chi ci abita? Nativi? Latinos? O magari anche qualcuno di quelli definiti con gergo sprezzante “White Trash” spazzatura bianca, dal colore della pelle di chi nella vita non c’รจ l’ha fatta?
Adesso Arches National Park รจ vicino. Il paesaggio cambia nuovamente. A sinistra si erge una parete di roccia rossa mentre a destra un bassopiano รจ profondamente inciso da un torrente. Al di lร del cretto, rare e isolate farm navajo e qualche sparuta pompa dell’acqua con la tradizionale ventola in cima al palo.
Quasi a guardia di ingresso al parco s’incontra Hole in the rock: grande roccia rossa forata, grande scritta bianca, bancarelle di lato. Poco dopo il Colorado River. Quindi Moab, ex villaggio minerario, i cui abitanti, stufi di essere oggetto di scherno da parte dei devoti mormoni poichรฉ i moabiti biblici erano dissoluti e incestuosi, vorrebbero cambiare nome al paese. I numerosi locali stile country-western, gli hotel, i rent-a-bike ne rivelano la nuova veste di capitale dell’outdoor. ร un posto simpatico, ma Arches National Park incombe. Forza, borracce piene e via.
Arco & Arcobaleno. Louis, il nostro autista, scartabella frenetico tra i documenti di viaggio. Siamo al casotto d’ingresso a Arches National Park, ma non ci fanno passare. Finalmente Louis il documento giusto lo trova. Fa un urletto di gioia e corre a darlo al ranger. Possiamo ripartire. Il tempo รจ incerto. Minaccia pioggia. La strada s’inerpica in poderose curve. Il paesaggio, giร bello, diventa indescrivibile. Come colossali guardiani di pietra, enormi torrioni rossi ci danno il benvenuto. Anche la pioggia ci battezza, iniziando a cadere. Ma oggi non ci fermerร nessuno.
Passiamo accanto alla roccia sospesa, uno dei simboli del parco. La pioggia abbozza. Le nuvole invece si addensano. Si parte comunque verso the Delicate Arch, il piรน famoso dei duemila archi di questo parco. Che รจ anche il simbolo dell’Utah che lo ha riprodotto perfino nelle targhe delle automobili.
In realtร qualche dubbio serpeggia, ma solo in relazione a come vestirsi: impermeabile, ombrello o nulla.
All’inizio del sentiero troneggia un cartello minaccioso: il caldo uccide! Monito dei rangers a non scordare di portare con sรฉ acqua. Oggi caldo non fa certamente, ma tutti l’abbiamo.
La salita si svolge fra lastroni di pietra variegata nelle cui commessure crescono pini nani e soprattutto ginepri spettacolari. Sono piante secolari dai tronchi rugosi, curvi e tormentati come lottatori. Sovente hanno molti rami secchi, ma da altri il verde rispunta vigoroso in una coreografia vegetale straordinaria. Su uno si essi, uno scoiattolo dalla coda grigia indugia un attimo per poi dileguarsi. Pieghiamo a destra di una cresta e giungiamo in vista di un anfiteatro roccioso al centro del quale si รจ sviluppato un nido di vegetazione. La vista รจ mozzafiato.
Peccato che al di sopra l’arco appare visibile solo di lato. Scendiamo per poi risalire per raggiungerlo. Inizia a piovere e a tirare un vento fortissimo. Dalla parte opposta in alto compaiono delle persone. Solo adesso ci rendiamo conto di aver sbagliato versante. Bisogna tornare indietro, risalire, aggirare la cresta e raggiungere l’arco in modo da poterlo avere di fronte. E il vento imperversa! Per fortuna il posto ripaga ampiamente la doppia fatica. Pioggia e vento ci danno finalmente tregua. L’arco dal lato giusto รจ nostro! Superbo, grazie anche a un contorno indescrivibile.
Il sole, impietosito, strappa la coltre di nubi, offrendoci una discesa fra strappi di luce livida che cambia i colori attorno a noi. In basso, fra i cespugli, compare un coniglio dalle orecchie lunghissime. Resta lรฌ, immobile e perplesso. Il sole si copre e si scopre. Indeciso. Alla fine del sentiero compare una cerbiatta. Salutiamo anche lei. Dispiace andarsene, ma la giornata sta davvero finendo. Non per sole e pioggia che decidono di esibirsi assieme, accendendo d’un ultimo fuoco la montagna e regalandoci all’ultimo tuffo, sui tornanti finali un enorme arcobaleno. Beh, sรฌ, per oggi puรฒ davvero bastare.
Across the Rocky Mountains. Supermarket di Moab. Io e tre utenti perplessi discettiamo su alcuni pezzi di formaggio sigillati, messi in un cesto vicino all’ingresso. Guarda che roba! Cosa? Ma non lo vedi cosa c’รจ scritto? Reggiano, e allora? Ma come allora? ร finto, guarda il marchio sulla crosta! Daiโฆรจ vero. Viene dal Wisconsinโฆche bastardi! Stabilita la falsa origine del parmigiano, il gruppo giudicante si scioglie e io mi rimetto in cerca di qualcosa da mangiare per dopo. Frutta in particolare che di carne non se ne puรฒ proprio piรน. Non rinuncio, perรฒ, al tradizionale tour degli scaffali, scoprendo gli imperdibili spaghetti marca American Beauty. Siamo in ritardo. Due parchi in programma con ancora negli occhi la bellezza di the Arches. Mi domando se saranno all’altezza. All’altezza lo รจ senz’altro la strada che porta al primo: il Canyonland National Park. Dopo una serie di curve si arriva a un altopiano. Canyonland รจ immenso. Posto a circa 2000 metri slm, รจ uno dei piรน selvaggi. Ne cibo nรฉ acqua sono reperibili al suo interno.
ร un compendio di tutti i grandi parchi: possiede spaccature vertiginose come quelle visibili al Grand View Point dove il Colorado accoglie le acque del Green River, torrioni, pinnacoli, Balance stones e un arco di pietra il Mesa Arch, che cambia colore a seconda dell’ora, affacciato su di un teatro di pietra indescrivibile. Manca solo di vederci passare sopra Willy coyote in eterna caccia di Roadrunner.
Uscendo da Canyonlands si entra poi nel piccolo, magnifico Dead Horse Point, orgoglio dello stato dell’Utah nonchรฉ set della scena finale di Thelma e Louise, che offre lo spettacolo in primo piano delle acque sempre piรน scarse del Colorado (sempre lui!), che si fanno pigramente strada disegnando una profonda curva dalle altre pareti rosse e dal fondo verdeggiante. Il posto รจ cosรฌ bello che ci fermiamo per un lunch fugace.
E ora si cambia. ร un viaggio pieno di spostamenti. Adesso sรฌ va a sud-est verso le montagne rocciose e lo sconosciuto villaggio minerario di Silverton.
Sรฌ attraverserร il cuore profondo del sud-ovest degli USA. Un cuore povero, prevalentemente bianco e conservatore.
Le strade si fanno sempre piรน diritte. Veniamo superati sovente dai lunghissimi autotreni che il cinema ci ha fatto conoscere. Visti da vicino questi “mostri” fanno ancora piรน impressione con le cromature lucenti, gli scarichi verticali e la cabina cosรฌ alta che spesso non si capisce nemmeno se dentro c’รจ qualcuno. Immagine quest’ultima, perfettamente sintetizzata da Steven Spielberg in “Duel”.
Molti di questi Trucks sono di corrieri e la cosa non deve stupire. Siamo nella terra dove รจ stato inventato l’home delivering ed รจ proprio in posti come questi che tale usanza ha ragion d’essere. Qui non c’รจ niente! Ne cinema, teatro, librerie. C’รจ la scuola (in forte degrado) e poi? Bar, birrerie, un supermarket. Quando vedo posti simili mi chiedo sempre cosa fa la gente per svagarsi. O per istruirsi… un esempio รจ la cittadina di Cortez: attorno immense distese di campi coltivati, qualche traversa, capannoni anonimi, povere case malmesse, i soliti pickup scassati. Qualche motel (Mesa Verde e Monument Valley non sono lontane). Oltre a ciรฒ, poco altro.
La strada intanto รจ cambiata e i miei pensieri smettono di vagare. Sono comparsi gli alberi. Dapprima a ciuffi sempre piรน fitti fintantochรฉ si รจ firmato un bosco. Siamo arrivati alle grandi foreste di San Juan. Iniziamo a salire i contrafforti delle Montagne Rocciose. Non prima di aver attraversato la verdissima e graziosa Durango oltrepassata la quale la strada s’inerpica mentre inizia a piovere di brutto.
Il panorama รจ comunque magnifico. Si susseguono pini, betulle e un particolare tipo di abete agile e sottile e dal colore verdegrigio-blu che รจ tipico di queste parti.
Poche le macchine a giro, ma, dall’arditezza dei sorpassi, arguisco che alcuni abitanti della zona devono ritenere un onore morire al volante.
La salita pare non finire mai. Finalmente il passo: Coal Bank Pass. Sulla carta รจ indicata un’altezza di 10610 piedi slm che fanno ben 3234 mt. Pazzesco.
Waiting for Clint. Immaginiamo un tardo pomeriggio d’agosto nella foresta di San Juan, Colorado, dove un manipolo di turisti italiani si trova in pullman in fondo alla discesa dai 3240 m del Coal Mine Pass. E piove a catinelle e fa pure freddo. Immaginiamo poi che i nostri eroi abbiano fame. In un territorio dove i ristoranti dei villaggi chiudono in genere tra le 18 e le 20. E ora sono giร le 19. E che gli umani stanziali piรน vicini siano i 640 abitanti di Silverton, vecchio insediamento minerario oramai a pochi chilometri e 2840 mt di altitudine.
Immaginiamo infine il loro stupore nel trovarsi scaricati di fronte al Grand Imperial Hotel, risalente al 1882 con annesso saloon dove una fila di avventori con giacconi a quadri, stetson a tesa larga, camiciona e fazzoletto, sono giร seduti al bancone con vari boccali di birra ormai vuoti.
Lo stupore si trasforma poi in incredula gioia appena entrati nella hall dove troneggia un grande bancone di legno scuro con alle spalle una specchiera, alla parete rivestita di stoffa รจ appoggiato un orologio a pendolo. L’atmosfera western รจ completata da un pianoforte verticale, posto all’entrata. Succede poi che la receptionist scateni l’entusiasmo generale, permettendoci di cenare nella sala attigua in continuitร col saloon. Lรฌ, sotto un’enorme testa di alce imbalsamata, due cowboys che paiono comparse degli “Spietati”, siedono a tavola l’uno di fronte all’altro. Sono di mezz’etร , tarchiati, uno decisamente sovrappeso. Immancabili i cappelloni d’ordinanza, che non tolgono mai. Hanno cinture con borchie d’argento, pantaloni stretti. Uno dei due ha un fazzoletto cremisi annodato al collo. In vita porta un coltello in una custodia di stoffa. Poco dopo il nostro ingresso si alzano e si spostano verso il saloon.
Noi cominciamo a cenare. Ogni tanto io alzo uno sguardo verso il bancone.
Diamine Clint, manchi solo tu!
Ragtime. Risvegliarsi fra i legni del Grand Imperial Hotel non fa che confermare le impressioni della sera. Le scale scricchiolanti conducono alla breakfast room dove la colazione รจ buona almeno quanto la gentilezza di chi ce la offre.
Oggi in programma c’รจ il trenino minerario che da qui porta a Durango attraverso la gola lungo il fiume. Prima un giro di Silverton, che mostra quanto bene si sia mantenuto il suo aspetto di villaggio di minatori (argento in particolare) pur riconvertendosi al turismo e agli sport outdoor. La natura intorno peraltro รจ magnifica con boschi a perdita d’occhio e montagne di oltre 4000 mt e dove resiste ancora qualche chiazza di neve.
In paese non c’รจ molto da vedere, qualche vecchio edificio, negozietti, ma il museo che conserva la memoria del luogo vale la pena. Anche se un po’ caotico vi si trovano oggetti della miniera, del vecchio quotidiano che qui si stampava fino a qualche anno fa e della giustizia con la casa del Marshall e la prigione (il paese รจ stato teatro di sparatorie, omicidi, linciaggi come si addice a una vera localitร del west).
Il lunch al Grand Imperial riserva la sorpresa del pianista. Un anziano, arzillo signore che ci fa compagnia a ritmo di ragtime aumentando cosรฌ la suggestione del luogo
Davanti all’hotel, in luogo dei cavalli, assieme a alcune Harley Davidson appartenenti a turisti, sostano giganteschi Suv dal muso cosรฌ alto da farli sembrare camion e enormi Pickup talvolta con un argano montato davanti per trarre o trarsi d’impiccio. Sul cofano di uno di essi c’รจ un adesivo: due mitra AK47 incrociati e la scritta “Liberty or Death” con un richiamo al II emendamento della Costituzione: libertร di avere un’arma innanzitutto.
La sera prima una guardia si รจ materializzata per fare spostare il pullman. Armata fino ai denti! No, decisamente non รจ tutto oro (o argento) quello che riluce a Silverton.
Mesa… delusione. Graziosa รจ Durango, cittadina turistica immersa nel verde delle Rocky Mountains, punto di partenza per svariate destinazioni, compresa Mesa Verde, meta odierna.
La strada per arrivarci digrada dolcemente tra i boschi, passando poi per campi coltivati fino al superbo complesso architettonico del Visitors Centre. Da lรฌ inizia a salire con una serie di tornanti la montagna piatta, cosparsa di tronchi d’albero rinsecchiti. ร tutto ciรฒ che rimane di un gigantesco incendio che ha sconvolto la Sierra nel 2002, cui non ha fatto seguito nรฉ ricrescita nรฉ rimboschimento.
La cattiva notizia giunge mentre ci stiamo avvicinando alla meta. A comunicarla un costernatissimo e incredulo Gimmy, nostro tour leader: causa un inspiegabile disguido non risultiamo prenotati per le visite guidate al sito. E la cosa non รจ piรน rimediabileโฆ e pensare che io mi ero immaginato a spasso per quei luoghi. Gli stessi che ispirarono nel ’54 Carl Barks per gli sfondi della celebre story di Paperon de’ Paperoni “The Seven City of Cibola” e che Spielberg copiรฒ per la scena iniziale dei Predatori dell’Arca Perduta…
Com’รจ ovvio la visita prosegue comunque con spostamenti nei vari view point, ma sono svogliato e deluso.
Perรฒ anche cosรฌ il posto รจ straordinario. Scatto qualche foto di prammatica. Ma quando si giunge ai siti di Balcony House e Cliff Palace resto comunque stupefatto. Il colpo d’occhio del canyon con la palpebra di pietra che pare proteggere le costruzioni degli Anasazi (quelli che c’erano prima in lingua navajo) รจ impressionante, ma il dispiacere rimane. E chi ci tornerร piรน qui?
Dopo pranzo si riparte. La strada รจ lunga. Taos รจ lontana. Alla fine, ci vorranno 6 ore di pullman.
Il confine col New Mexico arriva tra immensi boschi di conifere. La strada sale dolcemente, ma accidenti quanto sale!
Ora compare una vasta prateria punteggiata da vacche dalla livrea nera. Siamo in territorio Apache appartenenti alla tribรน Jicarilla. Ma non se ne vede uno. Di nuovo ricompare il bosco. Avvisto diversi cervi. L’altimetro dei miei compagni di viaggio tecnologici segna 3200 mt slm! Finalmente s’inizia a scendere.
Allorchรฉ finisce il bosco, questi cede il passo a un altopiano di vegetazione bassa e cespugliosa. Il tempo รจ incerto. ร piovuto da poco e un arcobaleno svogliato fa capolino, la luce di fine pomeriggio รจ molto bella. Qua e lร per i campi, in lontananza, roulottes bianche come grandi chicchi di grandine. Insediamenti di gente povera.
Non si arriva mai.
Compaiono stranissime case circolari. Progetti di abitazione ecocompatibile. Sarebbero da approfondire, ma non c’รจ tempo. Prime abitazioni di Taos. Qualche interessante costruzione in finto adobe, ma soprattutto, improvviso, un ponte a oltrepassare il bellissimo canyon del Rio Grande. Con questa luce crepuscolare รจ un peccato non potersi fermare. Nel buio si vedono brillare le insegne dell’unico ristorante che pare ancora aperto.
No, niente sorprese tipo Grand Imperial of Silverton: รจ solo il Guadalajara grill, Mexican food.
Seรฑoritas y seรฑoritas. Gli abiti sgargianti delle seรฑoritas balenano al centro della Plaza de Santa Fe al suono dell’orchestrina messicana. Sabato di festa. Ballano ragazze e prima di loro tocca alle bambine. Graziosissime nei loro vestitini multicolori muovono svelte i piedi calzati in scarpette col tacco come quelle delle grandi. L’orchestra mariachi prende vigore. Adesso tocca a los hombres bailantes. Sono in due. Mezz’etร , uno abbastanza piรน vecchio dell’altro, anche in carne. Elegantissimi nell’abito nero bordato di borchie d’argento. Sombrero d’identico colore. Bianca la camicia. Stivaletto a tacco alto con cui ritmano la musica in gesti secchi e sobri. Il rientro in pista de las mujeres accende la scena. Ampi i gesti delle donne sempre compassati los hidalgos. La folla presente reagisce con applausi e fischi di approvazione. Io spero sia un ballo propiziatorio capace di impedire si guastino altri programmi. Eh sรฌ perchรฉ stamane il Pueblo di Taos era chiuso agli estranei per cerimonia tradizionale. E lo resterร per un po’! Quindi niente visita. Solo la consolazione del museo dedicato a Kit Carson e al suo controverso operato e la gradita scoperta della splendida magione di Mabel Dodge, straordinaria interpretazione dell’architettura locale. Non resta altro che abbandonare questa graziosa cittadina e le sue eleganti case in stile messicano. Sulla strada per Santa Fe il pullman trova il tempo per una sosta al Gorge bridge, dove un ancor esile Rio Grande, da non molto partorito dai monti di San Juan in Colorado, scorre incassato in un canyon spettacolare. Avrร da percorrere altri tremila chilometri prima di arrivare al mare! E a Santa Fe uno che fa? Elementare: gira per gallerie d’arte! Canyon Road ne ha a bizzeffe, alcune notevolissime. Con installazioni fisse e temporanee. Ed รจ famosa in tutto il mondo. La cittร ha un nucleo originale con interessanti costruzioni in Adobe e la piรน vecchia chiesa degli States. Essendo molto amata per il clima non solo meteorologico, ma anche umano e culturale, รจ divenuta meta radical chic ed ha subito una pesante gentrificazione del suo centro storico.
Ma oggi i suoi abitanti latinos si son ripresi la piazza. Peraltro, sono almeno la metร della popolazione e qui lo spagnolo lo parlano tutti. Le danze proseguiranno chissร per quanto. Adesso tocca a ragazze di etร intermedia. Il Mariachi suona e canta che รจ un piacere, ma รจ il momento di andare via.
Next stop in Albuquerque. La cittร delle mongolfiere di cui a settembre c’รจ il festival piรน importante del mondo. Anche la cittร della bomba atomica perchรฉ Los Alamos รจ a quattro passi da qui. Anche luogo dove Bill Gates e Paul Allen fondarono Microsoft. Anche luogo dove sono entrato per la prima volta al Twin Peaks, tipico bar sport di una catena molto diffusa in tutti gli States. Si mangia e si vedono le partite. In realtร si mangia in un clima distopico sotto 12 grandi schermi TV che trasmettono 6 programmi differenti, ma il sonoro ce l’ha uno solo. Tavoloni con sedie alte e un bancone tipo moderno saloon sono occupati prevalentemente da uomini. A correre fra gli avventori, vestite con camicetta annodata al seno, mini-shorts in jeans e stivaletti bianchi bordati di finta pelliccia, ragazzine di piccolissima statura e, apparentemente, giovanissima etร . Molto brave e forzute prendono ordinazioni a raffica e con grande disinvoltura portano grandi vassoi ed enormi boccali di birra. Sorridono e corrono. Nel frastuono del locale sono ciรฒ che รจ piรน silenzioso. Ma resta la sensazione che i criteri di arruolamento non siano attitudinali, ma piuttosto, come dire: organolettici. Ovvero bell’aspetto e, soprattutto decoltรฉ generoso e idoneitร a indossare quella tenuta da cheerleader giร ridicola ai rodeos. E a me i rodeos non piacciono.
Resilienza. Ad Albuquerque non c’รจ nulla da vedere. Questa รจ l’idea che mi ero fatto. E quindi mai mi sarei aspettato di vedere una strepitosa Buick anni ’50, 4700 cc di cilindrata, parcheggiata nella Plaza Vieja, giusto di fronte alla chiesa di San Filippo Neri.
Il giovialissimo proprietario, saputo che siamo italiani, inizia a parlare spagnolo. Dice che il suo bolide, del quale รจ assai orgoglioso, fa 20 km con un gallone di benzina. Immagino perciรฒ che l’usi solo la domenica per farsi vedere in piazza e non certo per fare lโHighway come noi. Si va a ovest in piena Nazione Navajo. Lungo strada un cartello riporta una scritta: โLucky Leaf Expoโ, al centro una foglia di cannabis, il cui consumo in New Mexico รจ legale. Nel frattempo, transita di tutto: tracks che qui sembrano ancora piรน grandi, campers enormi. Notato uno che trainava una fiat 500. Non si sa mai per i piccoli spostamentiโฆ A fianco della strada corre una ferrovia che da queste parti รจ riservata solo alle merci. Poichรฉ siamo negli States tutto รจ amplificato: passa un convoglio. Conto le motrici. Sono cinque! Quanto ai vagoni, a ottanta mi fermo!
Il pullman abbandona lโHighway e punta deciso verso Acoma Pueblo. Ora solo rocce e steppa. Paesaggio eccezionale. Il Pueblo si trova su un’altura piatta circondata da grandi rocce in un ambiente estremamente suggestivo. All’arrivo al Visitor’s Centre veniamo trasferiti in vecchi bus per essere portati in cima. Saliamo tra blocchi di arenaria arancione. Il luogo รจ magico. Ci aspettiamo un attacco dei pellerossa, ma l’unico presente sta guidando il pulmino. Giunti in cima, ci accoglie Jeremy, guida pueblo. ร un ragazzo di meno di trent’anni, capelli corvini, pelle scura. Alto 1.90, giร gravemente obeso come tanta di quella gente. Indossa un paio di occhiali da sole polarizzati che rimandano riflessi arcobaleno. Inizia un giro che รจ entusiasmante e al contempo commovente.
Ciรฒ che รจ intorno a noi รจ tante cose, ma Acoma Pueblo รจ soprattutto un gigantesco monumento al genocidio dei nativi, lรฌ operato in primis dagli spagnoli che, assetati di oro, nella seconda metร del Cinquecento non esitarono a uccidere, mutilare e deportare l’intera popolazione del Pueblo che rimase per decenni disabitato. Pian piano vi fu un ritorno dei nativi, ma accompagnati da preti (misionarios) che imposero loro una conversione forzata al cristianesimo con proibizione di praticare i vecchi culti e perfino di parlare la lingua nativa. Furono anche obbligati a costruire una chiesa, San Esteban del Rey, ancora in piedi oggi con la sua struttura in adobe. L’interno della chiesa, in cui vige il divieto assoluto di fotografare, รจ perรฒ uno degli ambienti religiosi piรน straordinari che abbia mai visto.
Bisogna immaginare un’unica navata larga una ventina di metri e alta poco meno, tutta in paglia e fango. Il soffitto รจ costituito da una fitta serie di enormi tronchi di pino ponderosa appoggiati su grandi mensole lignee a guisa di un ciclopico graticcio. La parete di fondo รจ mirabile. Si rifร ai retablos delle cattedrali spagnole con due gigantesche colonne di pino lavorate a torciglione, poste in verticale, che aiutano a suddividere lo spazio in quadrilateri occupati da statue e immagini. Sulle pareti laterali sono dipinti segni e simboli di devozione. In uno si osserva un arcobaleno che sovrasta una pianta di mais blu, il loro principale nutrimento. Ma anche un simbolo della religione ancestrale, che essi mantennero di nascosto e che ha fatto sรฌ che oggi coltivino un culto religioso sincretico.
I fanatici misionarios (e neppure Kit Carson!) non avevano tenuto infatti conto delle eccezionali doti di resilienza di quel popolo che mantenne in segreto lingua, culto e costumi, affidando tutto alla parola tramandata, poichรฉ non hanno scrittura. Per tale ragione Acoma Pueblo ancora oggi sopravvive malgrado la mancanza d’acqua, di elettricitร e luce in un isolamento che ha anche carattere simbolico di resistenza e riscatto.
Il panorama da quassรน รจ davvero straniante. Mesas gemelle e disabitate si ergono a varie distanze. A una quarantina di miglia si staglia una verde cima di oltre 4000 mt di altezza. ร da lรฌ che provengono i tronchi degli alberi con cui fu costruita la cattedrale. Narra la nostra guida che quelli destinati al retablo non potevano toccare mai il suolo nel loro viaggio dal bosco alla chiesa e se ciรฒ accadeva, occorreva procurarsi un nuovo tronco.
Mentre ascolto le ultime parole di Jeremy, osservo le facce dei nativi. Un ragazzo sbuca da un portone, ha carnagione scura, porta i capelli lunghi raccolti in una lunga treccia, una bella faccia che sarebbe piaciuta a John Ford. Sorride e sparisce dentro a un pick-up. Una vecchia dalla faccia grinzosa viene a vedere che succede. ร piccola piccola. Due occhietti neri a spillo. Saluta e si siede all’ombra. Altri stanno lavorando alla manutenzione dello straordinario cimitero che si estende davanti alla chiesa.
ร il momento di andare. Ciao Pueblo e ciao anche New Mexico, luogo bellissimo dalla luce tersa e dagli immensi spazi vuoti. Adesso รจ il momento dell’Arizona.
Navajoland. A Gallup, per molti anni importante location di tanti western, il New Mexico cede il passo all’Arizona. All’Alfredson’s foodstore di Gallup finisce la vendita degli alcolici per iniziare la zona alcolfree della nazione Navajo.
Al confine dei due stati, le lancette dellโorologio andrebbero messe indietro di 60′ perchรฉ l’Arizona adotta l’ora legale e il New Mexico no, ma nella nazione Navajo l’ora resta quella del New Mexico. Qui all’ovest quella degli orologi รจ una battaglia persa che si combatte non solo tra Pacific standard time e Mountain standard Time, ma anche tra le varie eccezioni!
Nel frattempo, si compra qualcosa da Alfredson e io mi sbizzarrisco fra gli scaffali in cerca di etichette bizzarre. Imperdibile la fila di bottiglie con etichetta-teschio, da bere per la festa messicana de los Dias de Los Muertos. Rilevante anche l’aceto balsamico Botticelli. Rilevante anche l’utenza, fatta di un mix di nativi e ispanici accumunati da opinabili scelte alimentari le cui conseguenze sono facilmente desumibili dalle loro silhouettes.
La bella strada verso Chinle prosegue con struggenti rettifili interrotti all’orizzonte dal ciglio piatto delle mesas. Di rado una curva a spezzare la noia del drivers finchรฉ si arriva a Chinle, porta d’ingresso alla Navajo Nation nonchรฉ al Canyon De Chelly. Gli abitanti di qui sono quasi tutti nativi, ma a giro non si vede anima viva. Il paese appare deserto e desolato. Preceduta dai tralicci e dagli isolatori di una centrale elettrica, compare una lunga sequenza di modesti edifici, sparpagliati in una landa polverosa. Inizia la bassa sagoma di un centro dialisi. Fanno poi bella mostra di sรฉ le insegne di un campus scolastico, un Churchs Meal (fast-food) tristemente isolato, i prefabbricati azzurri del Chinle Youth correction Camp ovvero un riformatorio (per giovani Navajos). Il paese appare del tutto destrutturato e diffuso in tante casette di legno. Ad un tratto una chiesa appare sulla destra. Anch’essa in legno e con un annesso ottagonale a guisa di Hogan. Tanto per ribadire il sincretismo religioso che vige in queste zone.
Dopo qualche curva polverosa appare l’Holiday Inn, vera oasi in tanto abbandono. L’hotel รจ la porta d’accesso al Canyon de Chelly, dove andiamo la mattina successiva.
Questo Canyon ha due caratteristiche salienti.
La prima รจ che si pronuncia in modo assurdo (desciรกi), la seconda รจ che รจ di una bellezza sensazionale. Io me ne sono innamorato a prima vista. ร costituito da due entitร , Canyon de Chelly e Canyon de El Muertos. Le sue pareti cambiano durante il giorno da rosso scuro a rosa e arancione. Sono ripide sรฌ, ma allo stesso tempo sinuose, ha guglie sorelle chiamate Spider Rocks e centinaia di altre straordinarie formazioni. Ma soprattutto รจ un posto vivo. Infatti, รจ abitato da 4800 anni. Dopo i primi cacciatori, vi si insediarono, come a Mesa Verde, gli Anasazi, costruendo Pueblos a strapiombo, le cui rovine mozzafiato sono visibili anche oggi. Quando gli Anasazi sparirono misteriosamente, pian piano giunsero i Navajos che ne occuparono il fondo per coltivarlo. Cosa che fanno tutt’oggi malgrado gli spagnoli prima e Kit Carson dopo abbian fatto di tutto per scacciarli e cancellarli. Quindi questo รจ anche un luogo della memoria. Cosรฌ come lo รจ il museo navajo di Windows Rock, capitale e sede del governo di Navajoland. Un bell’edificio, costruito accanto a una spettacolare roccia cava, che cela tutto il rimpianto per tempi felici e l’orgoglio e la volontร di riappropriarsi del proprio passato per creare un futuro meno amaro di un presente ancora assai problematico.
Take It Easy. Lasciare Chinle significa lasciare Canyon De Chelly, posto che vorresti percorrere per ogni dove per giorni e giorni.
Per elaborare il lutto di tale abbandono, ai confini di Navajoland, si fa sosta all’Hubble trading post, un posto ai piรน sconosciuto (ma non a Gimmy!), ma non privo di fascino. Luogo simbolico del tentativo riuscito di pacificazione tra nativi fiaccati dalle angherie dei bianchi e l’intuizione di mr. Hubble che, innamoratosi del popolo Dinรจ, ebbe con loro un rapporto fecondo e rispettoso che portรฒ alla creazione nel 1872 di questo spazio originale tuttora gestito dai nativi e comprendente uno spaccio, stalle e piccolo museo.
Per non farsi mancar nulla, mentre la truppa รจ impegnata a saccheggiare lo shop dei suoi peraltro interessanti prodotti, scoppia la grana: uno dei nostri ha lasciato il passaporto a Chinle! Troppo tardi per tornare indietro. La soluzione รจ difficile finchรฉ Gimmy pesca dal cilindro il coniglio. Sottoforma di una giovane (e francamente bella) ranger navajo che si materializza come dal nulla. In un accrocco diabolico, ma geniale, andrร lei a prendere il passaporto mentre il pullman proseguirร il suo percorso scaricandoci alla prima destinazione per poi tornare allo spaccio a prendere il documento e il titolare del passaporto che resterร a attendere.
ร anche il momento del Pacific Time: orologi indietro di un’ora. Non mi piace. Significa che il giro volge al termine, ma ha ancora qualche colpo in canna da esplodere. Sottoforma della selvaggia bellezza del deserto dipinto e della foresta pietrificata.
Fa giร caldo quando il panorama inizia a cambiare. La vegetazione scompare come abbrustolita. Basse ondulazioni seguite da rughe sempre piรน profonde si susseguono e pian piano quella desolazione prende colore. La natura, sapiente imbianchino, accumula strati di sasso di tinte varie e mutevoli, disposti in orizzontale e poi sollevati e mossi in onde d’un lago minerale di cui si riconoscono i componenti. C’รจ il nero del basalto vulcanico, i toni rossi delle sabbie, il grigio-azzurro dell’argilla e in alto un deposito bianco a sigillare l’arcobaleno geologico. Un mondo a parte che pare lo sfondo di una graphic novel di Alex Raymond ambientata sul pianeta Mongo, dove aspetti di incrociare Flash Gordon. Magari in una foresta pietrificata come quella che “cresce” nel deserto dipinto. Rimane difficile immaginare tronchi di pini giganti di piรน di 200 milioni di anni, alti in origine quaranta metri, giacere intatti con i particolari della corteccia, le inserzioni dei rami, a volte perfino resti delle radici. Affascina avvicinarsi e distinguere gli anelli d’accrescimento. Soprattutto constatare che tutto quello che vedi รจ fatto di quarzo colorato. Quello che in gemmologia รจ chiamato diaspro. Pini di pietre dureโฆ sul deserto dipinto, dietro un cielo turchese.
Nel frattempo, il bus รจ andato e รจ tornato, riportando il passaporto e il suo proprietario. La ranger non voleva niente. Ha accettato un compenso solo dopo una certa insistenza. Felice, riunita e interamente passaportodotata, la truppa accaldata (nel deserto il sole picchiava come un fabbro) riparte.
Incrociamo l’assurdo paese di Holbrook con le case basse calcinate dal sole a picco e dove esiste un bizzarro motel le cui casette sono in realtร dei teepee (tende) pellerossa. Il paese รจ preceduto da uno sterminato deposito di tronchi fossili provenienti da terreni privati e di cui รจ permessa la commercializzazione. Infatti, sono richiestissimi.
L’inconveniente del passaporto ha rubato tempo utile e bisogna correre.
Epperรฒ il tempo per Winslow va trovato. La cittadina si trova sulla route 66, mitico collegamento tra Chicago e Los Angeles. Winslow รจ nota per esser contenuta in una strofa di una grande hit degli Eagles, Take It easy (…Well, I’m a-standing on a corner/In Winslow, Arizona/Such a fine sight to see/It’s a girl, my Lord/In a flat-bed Ford/Slowin’ down to take a look at meโฆ). Ed รจ per celebrare il Californian Way of Life che proprio lรฌ, Standing on the road foundation plaza, si trova il vecchio furgone Ford. Attorno un bar colorato (e caro!), buffi tizi molto datati west coast style, un paio di Harley Davidson e tanta nostalgia. Ma non c’รจ tempo di rifiatare e siamo giร correndo. Il Meteor Crater รจ una cosa che uno crede esista solo nei film. Invece l’enorme scodella di ยพ di miglio di diametro per cinquecento piedi di profonditร , generata quasi 50.000 anni fa dall’impatto di un meteorite ferroso di 46 metri esiste e impressiona. La luce inclinata del vicino tramonto, una brezza che smorza il calore, l’assenza di folla perchรฉ รจ ora di chiusuraโฆ tutto fa sรฌ che il luogo induca quella suggestione che deriva da un simbolo della potenza devastante dei fenomeni naturali.
La giornata finisce a Flagstaff, florida cittร in mezzo ai grandi pini ponderosa, base per il Grand Canyon o per chi, come noi, rientrerร a Las Vegas. Le cartucce sono state sparate tutte. O quasi. E cosรฌ che raccolgo il suggerimento di un amico: stasera tutti al mitico Museum Theater a ascoltare musica in un locale mezzo saloon sulla route 66. Aperto nel 1932, tempio del country. Un luogo dov’รจ possibile anche un buon boccale e una T-Bone al sangue. E dove abbiamo trovatoโฆ il karaoke! Bello il posto. Tutto legno, dentro e fuori, perรฒ cucina chiusa, base musicale a palla, quattro ragazzotti in pista a ballare che ci guardano come alieni e io lรฌ come un salame. Mi spiegano che dopo il Covid non si sono piรน ripresiโฆ finiamo lรฌ accanto da Taco Bell a mangiare roba messicana mentre stanno dando il cencio in terra prima di chiudere.
Il tassista che mi riporta a casa รจ lo stesso dell’andata. ร un mingherlino, barba bianca, faccia piena di rughe. Dimostra una settantina d’anni, ma forse ne ha meno. Ogni tanto tira su un sorso di qualcosa da un thermos. Spero sia caffรจ per stare sveglio la notte. Ha due occhietti vispi e la voce un po’ rauca del fumatore. Chiede com’รจ andata nel locale. Farfuglio una risposta imbarazzata nel mio farfugliante inglese. Si accorge chiaramente che sono seccato. E lui inizia a conversare
Lei รจ italiano, vero?
Sรฌ
E di dove?
Firenze
Oh, bello. Io di cognome faccio Pagliarulo e i miei venivano da Ravello
Lo sa che Ravello รจ un posto bellissimo. C’รจ mai stato?
No. So solo che lร ci sono belle piante di limone
E io lo guardo e mi dico: Take It Easy!
Fuga da Las Vegas. Un sole protervo arroventa giร da due ore Las Vegas, ma nei saloni senza finestre dei casinรฒ non ne entra un raggio. Non ci sono orologi e si capisce che รจ mattina dall’andirivieni operoso degli addetti alla pulizia e dalle slot machine poco affollate. La cittร che non dorme mai รจ reale e anche qui, nel ventre dell’hotel Luxor, รจ la regola. In questo albergo insensato a forma di piramide, dove gli ascensori scorrono obliqui e l’ingresso ha colonne giganti istoriate da falsi geroglifici, tra le 8 del mattino e le 3 del pomeriggio di 5 giorni su 7 si compie un rito: il Pyramid Buffet! Basta spendere una trentina di dollari, procurarsi il voucher, scendere i gradini che portano a una grottesca cripta faraonica e attendere con pazienza l’apertura dei cancelletti. Una volta entrati, ci si trova di fronte a una distesa di cibo di sconfinata vastitร . C’รจ di tutto. Vuoi pesce? Lo trovi, compresi cozze e gamberetti. Mangi italiano? Prendi una pizza! Vegetariano? Ti attende una distesa di verdure che pare il mercato. E carni d’ogni sorta, cotte in ogni maniera. E poi pani, cerali, frutta, ogni foggia di yogurt, latte, caffรจ, tรจ, infusi, succhi, bevande gassate. E ancora formaggi, salumi, uova cotte come vuoi tu. Un Bengodi, che pare l’evoluzione distopica di quello di boccaccesca memoria, ma perfettamente in sintonia con l’ambiente circostante. Anche l’orario รจ dilatato per consentire a tutti di poterne usufruire. In questa chiusa foresta alimentare si muove una fauna variegata e cosmopolita. Talora sconcertante come il gruppo familiare di turisti italioti, capitanati da un adulto maschio-alfa-de-noantri biancovestito da comparsa da cinepanettone, che urla comandi al clan al suo seguito che lo asseconda con gridolini di giubilo a ogni nuova scoperta gastronomica. I mostri riescono a sorpassarmi, dando l’assalto ai vassoi delle crรชpes, bramando vogliosi di completare piatti giร zeppi a cupola. Mi ritraggo sconcertato, non senza prima essermi per dispetto appropriato dell’ultima crespella disponibile. Mentre mangio il frutto della mia modesta razzia, guardo e ho l’immagine di un luogo paradigmatico dell’immenso spreco (alimentare, energetico, sociale), rappresentato da questo posto. Anche la sera prima, durante un giro by night, la cittร ha sciorinato il “meglio” di sรฉ. Lungo lo Strip, nello sfavillio di miliardi di luci colorate, questo sconcertante parco divertimenti per bambinoni ignoranti, consente di sostare sotto la torre Eiffel, fare un giro in gondola (a motore) mentre il gondoliere gorgheggia le strofe del Padrino. Non contenti si puรฒ passeggiare per calli e campielli di gesso sotto cieli artificiali che vorrebbero rievocare quelli del Tiepolo, ma trasmettono solo un grottesco imbarazzo in chi ha visto l’originale. Una parziale eccezione รจ rappresentata dalla Sfera anzi semisfera, ultima arrivata delle meraviglie di qui: una calotta alta 110 metri, la cui superficie, coperta di LED, รจ in grado di disegnare ogni tipo di immagine. Al suo interno sorgerร un auditorium con 17000 posti, effetti speciali 4D e tutto ciรฒ che serve per incantare il pubblico. Al misero costo finale di 2,3 miliardi di dollari! Un affarone, nell’insonne cittร del peccato. Cittร che trae l’energia (e l’acqua!) da un luogo non lontano e suggestivo.
La Hoover Dam e le sue immense turbine pompano acqua e corrente per venti milioni di persone in quattro stati. Rappresentando uno dei grandi sforzi del New Deal Rooseveltiano, quando grandi progetti furono messi in campo per reagire alla grande depressione del ’29. A farne le spese รจ stato il Colorado. Il grande fiume ha commesso l’errore di passare proprio da qui e ciรฒ ha fatto sรฌ che fosse sbarrato in piรน punti da enormi dighe che ne hanno imbrigliato per sempre il corso. Oggi la natura si sta prendendo una feroce rivincita attraverso perduranti siccitร che hanno abbassato il livello degli invasi di trenta o quaranta metri, allontanando le rive di centinaia di metri dai numerosi imbarcaderi e villaggi.
Una volta superati i severissimi controlli di guardie armate (sul pullman) e metal detector all’ingresso, la sconsolante situazione delle acque risulta evidente. Ciononostante, il panorama รจ superbo con i bordi sbassati del lago sbiancati che contrastano con l’ocra delle rocce sovrastanti che si perdono nelle creste ondulate. Da una parte il deserto del Nevada, dall’altra quello dell’Arizona. In mezzo, a far da confine, una diga alta piรน di 200 metri con torri di presa e interni elegantissimi in stile razionale, figli di un’epoca d’oro dell’architettura moderna. Un caldo feroce e un filmato tronfio e autocelebrativo (e mai aggiornato) stile Istituto Luce sulla realizzazione dell’opera, sono lo scotto da pagare durante la visita, che una volta terminata fa sรฌ che si volga la barra verso l’aeroporto. Non prima, perรฒ, di un ultimo stop al nucleo primigenio di Las Vegas. In realtร oramai un luogo molto piรน povero rispetto alle megalomanie dello strip, ma dove si incontrano casinรฒ storici come il Golden Nuggett e un originale tunnel a led luminosi che ne costituisce il centro nevralgico: the Fremont Street Experience. Percorrerlo con 42ยฐ non รจ il massimo del comfort, ma รจ istruttivo per la presenza di parecchi homeless, strane tipe vestite (poco) da diavolesse, ambulanti molto freaks e modesti negozi di souvenir. Uno sguardo significativo sull’altra faccia della cittร .
Ma il tempo stringe. All’aeroporto arriviamo che giร si rannuvola. Prima dell’imbarco viene giรน un violento acquazzone. Las Vegas, come un vecchio gangster, fa capire che รจ meglio che ce ne andiamo. E noi cosรฌ facciamo!