Mar 11 Feb 2025
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Femminicidio Rufina: ‘distruggere invece che affrontare’, la violenza come rimedio. E’ l’ora che gli uomini si interroghino

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Femminicidio Rufina: 'distruggere invece che affrontare', la violenza come rimedio. E' l'ora che gli uomini si interroghino
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L’ultimo femminicidio sul nostro territorio innesca le solite dinamiche di analisi, ricostruzione, valutazioni sulla qualità della coppia di Rufina, ma richiama con urgenza il tema strutturale e di genere: gli uomini che usano violenza ne fanno uno strumento per non affrontare se stessi e la relazione.

Ci risiamo. Ieri come  domani. Forse oggi più vicino a noi. Rufina chiama Toscana e più una notizia è vicina, come sappiamo, più desta attenzione. Percezione di qualcosa di prossimo dunque che potrebbe capitare anche dalle nostre parti. Ebbene sì la violenza di genere non ha confini, non ha zone off limits, ceti sociali immuni, bunker antinucleari che tengano. Pervade la nostra società perché è questa società, che la alimenta. Finché dopo un femminicidio ci chiederemo come è stato possibile? Finché cercheremo di indagare sul prima, il durante e il perché: coppie in crisi, tradimenti, divorzi all’orizzonte, coppie a braccetto per strada, coppie scoppiate in casa, diete, telefoni… finché cercheremo di capire qual è stato l’innesco sarà come guardare al dito a non alla luna. La ‘normale normalità’ di una relazione non esiste e prima ce ne faremo una ragione sociale  e prima capiremo come affrontare la patologia della violenza che è solo lo strumento di una volontà di annientamento e distruzione da parte di un uomo che decide di porre fine ad un problema che non riesce ad affrontare.
Cancellare l’altra e poi addirittura se stessi è preferibile che prendere in mano la vita, con la sua anormalità. Da questo dovremmo partire ammettendo che in ognuno di noi e di conseguenza in ogni relazione possono esserci dei lati oscuri, delle zone grigie, deboli, fallaci, non pronte, limiti o difficoltà. Dinamiche interiori che non devono essere soffocate  con un cuscino  o zittite un coltello alla gola, ma vanno fatte uscire da se stessi e dalla relazione, a costo che anche gli altri le vedano e non ci giudichino più normali. Sarà il primo passo verso un sano riconoscimento di noi stessi e degli altri.
Passi avanti sono stati fatti nella presa in carico delle donne vittime di violenza, nel fare conoscere  i campanelli d’allarme di rapporti non sani, di codici rosa, codici rossi, panchine simbolo di lotta e di presenza, reti, iniziative, progetti rivolti alle donne perché acquisiscano consapevolezza e strumenti ma forse è arrivato il momento di riconoscere chiaramente che sono gli uomini a doversi fare carico di un accrescimento cognitivo di chi sono, di come si vive in una relazione, come la si chiude per scelta o per decisione dell’altra, di come non essere sempre negli standard imposti o al top possa essere una sana accettazione di sé. Finché un solo uomo penserà di risolvere le sue lacune, le sue paure, solitudini, le sue gelosie, le sue visioni patriarcali di se stesso e delle relazioni, attraverso distruzione, eliminazione, annientamento fisico o psicologico (perché un dopo può essere solo come vuole lui rispetto a come gli altri lo devono vedere, altrimenti un dopo non ci deve essere), allora la violenza sarà dietro ogni porta di casa, portiera di macchina, angolo di strada, dietro le spalle mentre ti alzi la mattina e prepari il caffè.
Non stupiamoci e facciamo aprire gli occhi agli uomini perché sì è un fenomeno di genere e visto che se uno stereotipo vogliamo usare è quello del ‘come sanno fare squadra gli uomini’… ecco se c’è una squadra da fare è proprio questa. Amici, fratelli, figli, compagni di palestra, colleghi di lavoro, amici al pub, parlate dei vostri bisogni, paure, debolezze oppure individuate quelle di chi vi sta accanto. E affrontateli. Altrimenti se continueremo a pensare che ogni caso è una deviazione  a se stante e non frutto di un problema strutturale, continueremo ad interrogarci sul prima e sul perché ma non affronteremo mail il dopo.